27/5/2010 ore: 11:51

Bamboccioni per forza è emergenza giovani nell´Italia della crisi

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Dal 2000 al 2009 si registra una perdita netta del reddito pro capite di 360 euro
I consumi sono in calo del 2,5% eppure l´Europa ha mantenuto a fatica un segno più

ROMA - Un paese più povero e più vecchio che tiene i figli adulti a casa e poi si scarica la coscienza chiamandoli «bamboccioni». Un paese che sulla carta ha «agganciato la ripresa», ma che nei fatti vive con meno occupati, meno reddito, più donne senza lavoro e più giovani senza arte né parte. È un´Italia in piena crisi quella che l´Istat tratteggia nel suo Rapporto annuale, e a dar retta allo slogan che lo presenta («dietro i numeri di oggi l´Italia del domani») non c´è da stare molto allegri.
La statistica, infatti, mette in fila il deficit della crescita, quello dell´innovazione, dell´istruzione e della demografia e fa capire che la crisi parte da lontano. È vero che nei primi mesi di quest´anno c´è stato un «recupero di vitalità» (piccole imprese ed export hanno permesso una crescita dello 0,5 per cento), ma lo stesso presidente dell´Istat Enrico Giovannini avverte che «ci sono forti rischi di instabilità» e dal rapporto emerge che non stiamo investendo sul futuro.
Il 2009 ha pesato sulle famiglie e più ancora sui giovani. C´è stata un perdita netta del reddito disponibile diminuito, in un solo anno, del 2,8 per cento. A voler tradurre la caduta in moneta, Giovannini stima che dal 2000 ad oggi la perdita procapite sia stata di 360 euro. Del resto l´Italia è il paese che negli ultimi due anni ha registrato la più alta caduta del Pil fra le maggiori economie europee (meno 6,3 per cento contro il meno 3,8 della Germania e il meno 1,7 della Francia).
Meno soldi e meno consumi (in calo del 2,5 per cento) nonostante il resto dell´Europa pur faticosamente abbia mantenuto il segno più. Meno lavoro e più donne a casa: nelle situazione di crisi, si sa, un vecchio paese se la cava «tagliando» le donne e i giovani e così è andata in Italia. Per il capofamiglia c´è stato il salvagente della cassa integrazione, ma per gli altri componenti, spesso precari, non c´è stata alternativa alla perdita del posto. La disoccupazione femminile, già alta, ha subito una nuova impennata: ora in Europa dietro a noi c´è solo Malta, visto che nella fascia d´età fra i 15 e i 64 anni lavora il 46,4 per cento delle donne. E a chi assicurava che dalla crisi si esce solo mettendo in moto il loro lavoro il paese ha risposto tagliando altri 105 mila posti.
Ma a pagare lo scotto più alto della crisi sono stati ancora di più i giovani, quelli che sempre più spesso vivono in famiglia dopo i trent´anni non perché stanno bene con la mamma, ma perché non hanno i soldi per andarsene. È una categoria in netta crescita: quasi il 30 per cento degli italiani tra i 30 e i 34 anni abita con i genitori (quota triplicata negli ultimi 25 anni). L´Istat fa puntuali precisazioni e spezza una lancia a favore di questa generazione che vorrebbe fare da sola, ma non può. «Non chiamateli bamboccioni» chiedono i ricercatori, «questa parola dovrebbe essere abrogata perché banalizza una situazione complessa». Giovannini confessa la sua «forte preoccupazione»: per uscirne, avverte «bisogna investire di più nel capitale umano, nel lavoro, nell´università, scuola, formazione». Invece è questa fascia d´età ad aver assorbito l´80 per cento dei tagli: fra i 18-29enni la disoccupazione è salita di tre punti, a quota 44 per cento. C´è una vera e propria melma che attanaglia due milioni di giovani, i cosiddetti «Neet» (Not education, employment, training) ragazzi che non vanno a scuola, non lavorano, non fanno formazione. Sono loro, in fondo, il segno più evidente che nel paese c´è qualcosa che non va, qualsiasi lettura si voglia dare alla loro condizione. La generazione, tra l´altro, patisce la curva demografica: «L´Italia - spiega l´Istat - è il secondo paese più anziano d´Europa dopo la Germania. Il rapporto di dipendenza tra le persone in età inattiva (0-14 anni e 65 anni e più) e la popolazione che teoricamente si fa carico di sostenerle (15-64 anni) è passato dal 48 al 52 per cento in dieci anni».

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