21/9/2004 ore: 12:18
Benetton, la sfida industriale riparte dal colore
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FINANZA pag. 36 Benetton, la sfida industriale riparte dal colore GIORGIO LONARDI Se prendi in mano i conti Benetton Group del primo semestre 2004 la reazione è scontata: delusione. Nonostante la vendita, perfezionata nel 2003, delle aziende dell’attrezzo sportivo, vera «zavorra del gruppo», i conti non brillano. Calano i ricavi (e questo era scontato dopo l’uscita dallo sport) ma diminuisce anche il margine lordo industriale (da 415 a 373 milioni) scende il risultato operativo (da 130 a 111 milioni) e si riduce l’utile prima delle imposte (da 95 a 89 milioni). Certo, rispetto al 2003 l’utile netto del semestre aumenta sensibilmente passando da 50 a 67 milioni. Tanto è vero che i profitti sul fatturato balzano dal 5,2 al 7,8 per cento. Roba da leccarsi i baffi anche per il settore del lusso (e Benetton non fa parte del lusso). Tuttavia si tratta di un risultato dovuto al dimezzamento dell’imposizione fiscale. E quindi la delusione rimane. Quasi intatta. Insomma, dopo aver letto i bilanci resta un po’ di amaro in bocca. E viene il dubbio che i Benetton abbiano imboccato la strada del declino. Qualcuno fa anche notare che ci sono sul mercato concorrenti molto più aggressivi come gli spagnoli di Zara e gli svedesi di H&M. Altri insistono con una certa crudeltà sulla identità un po’ appannata del gruppo di Ponzano Veneto, rispecchiata da negozi privi di glamour e da un prodotto meno giovane del passato. Ma sono proprio azzeccate queste critiche? Oppure la situazione va analizzata in una prospettiva diversa, proiettata sul futuro invece che centrata sul passato? Prima di continuare conviene evidenziare lo scenario complessivo. Benetton Group oggi pesa per meno del 30 per cento sulle attività della famiglia raggruppate sotto Edizione Holding. La stessa Edizione a cui fa capo il 56,7% di Autogrill e la maggioranza di Schemaventotto, la scatola che a sua volta controlla Autostrade. Ma non è tutto. Perché, come ha ricordato recentemente l’Economist, le partecipazioni di Edizione valgono 6 miliardi di euro al netto dei debiti. In realtà l’unico vero passo falso della cassaforte dei Benetton è stato l’acquisizione del 16,8 per cento di Olimpia, la società che controlla Telecom Italia. Un’operazione che oggi vale la metà degli 1,16 miliardi di euro pagati. Tornando a Benetton Group la prima cosa da sottolineare è che i risultati finanziari erano stati anticipati dal piano strategico di rilancio messo a punto a fine 2003 dall’amministratore delegato Silvano Cassano. Un piano che prevede i primi effetti positivi sul conto economico per il secondo semestre del 2005. Ma anche una scommessa imprenditoriale che darà appieno i suoi frutti solo nel 2007 quando i ricavi saranno cresciuti del 18,5% sul 2003 raggiungendo 2,187 miliardi di euro mentre l’Ebit dovrebbe arrivare a 324 milioni (+40,3%). Intendiamoci, la sfida di Cassano non sarà facile. Il progetto, infatti, fa perno su una sorta di «ritorno alle origini»: più colore nei prodotti, negozi rinnovati, una struttura industriale più snella capace di tagliare del 20% i tempi che intercorrono fra la progettazione e la vendita di una collezione. Ma senza inseguire gli spagnoli Zara e Mango o gli scandinavi di H&M nella guerra dei prezzi. Per finanziare questo ambizioso disegno il gruppo di Ponzano Veneto ha messo sul piatto 50 milioni all’anno per lo sviluppo e il rinnovamento delle rete commerciale a cominciare dal nuovo concept di negozio; altri 90 milioni saranno impegnati per la ristrutturazione del sistema logistico e industriale mentre 50 milioni verranno spesi in informatica e telematica. Complessivamente si tratta di 340 milioni in un quadriennio che salgano a quota 430 milioni conteggiando gli altri investimenti al di fuori del piano. Il massiccio impegno finanziario per rivoltare la Benetton come un calzino spiegherebbe, almeno in parte, la riduzione del margine lordo industriale del primo semestre 2004 da 415 a 373 milioni. Una quota delle risorse, infatti, è stata dirottata sui negozianti affiliati riconoscendo a costoro una percentuale di profitto in più sugli acquisti del prodotto. Lo scopo: consentire alla distribuzione di partecipare economicamente al rinnovamento dei propri negozi. Quanto ai primi risultati della «cura Cassano», qualcosa comincia a vedersi. Ad esempio è stato lanciato il nuovo concept Twin, una tipologia di negozio contrassegnata da luci più soft, colori morbidi, ambiente più accogliente. Nei primi sei mesi del 2004, inoltre, circa 75 store sono stati ristrutturati seguendo il modello Twin. Fra gli esempi più rilevanti il megastore di Boulevard Haussmann inaugurato la settimana scorsa a Parigi e il megastore di Vienna mentre in Italia spicca il punto vendita di Padova. Certo, 75 negozi sui 4 mila Benetton (un altro migliaio sono a marchio Sisley) sparsi nel mondo sono ancora pochi. In ogni caso l’adozione del nuovo concept riguarderà tutti i 200 megastore e la maggior parte degli altri negozi. Riguardo al prodotto, «noi abbiamo la sensazione», sostiene un report freschissimo di Merrill Lynch, «che il gruppo stia lavorando bene sviluppando le collezioni e migliorando la comunicazione dei marchi. In effetti sappiamo che le collezioni hanno un miglior mix di prodotti e un maggior contenuto fashion. Chiaramente questo è solo l’inizio. Il 2004 per Benetton rimane un anno di transizione». Fra i nuovi consulenti cui è stata affidata l’immagine del gruppo va ricordato l’art director Joel Berg e il fotografo inglese David Sims. Più difficile valutare lo sviluppo del piano dal punto di vista industriale. Sempre Merrill Lynch sottolinea che il tasso di delocalizzazione della base produttiva è arrivato al 66%. Buona parte delle fabbriche, infatti, è ormai in Ungheria, Croazia e Portogallo. Mentre un report di Deutsche Bank sostiene che proprio «grazie ai forti benefici della delocalizzazione» il management di Benetton può garantire i risultati finanziari del 2004 (utile netto previsto fra 125 e 130 milioni). Molto lavoro, però, è ancora da fare. |