1/7/2002 ore: 10:13

Caccia alla "fonte attendibile" che informava il professore

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DOMENICA, 30 GIUGNO 2002
 
Prima Pagina e pag. 3 - Interni
 
L´INCHIESTA
 
Gli investigatori cercano il misterioso personaggio che allarmava Biagi
 
Caccia alla "fonte attendibile" che informava il professore
 
 
dramma
Dal Viminale ora ammettono: non comprendemmo quel dramma
il dubbio
Non sappiamo ancora se a Bologna ha colpito la stessa mano del delitto D´Antona
domanda-chiave
"Dovevamo chiederci: e se Biagi sa qualcosa che non ci vuole dire sulla sua fonte?"
pregiudizio
L´azione delle forze dell´ordine dopo gli allarmi del docente fu viziata dal pregiudizio
 
GIUSEPPE D´AVANZO

ORA quel che più incuriosisce la "squadra speciale" del Viminale in missione a Bologna è l´identità della «persona assolutamente attendibile» che raccontava a Marco Biagi di un Cofferati "minaccioso". «Da un punto di vista investigativo – rivela una qualificata fonte del Viminale – è la novità più interessante del carteggio pubblicato in questi giorni. Ci dovremo lavorare presto e a fondo».
Bisogna frugare allora in quella frase che c´è e scompare nella e-mail inviata da Marco Biagi al direttore di Confindustria Stefano Parisi. La frase è: «Non vorrei che le minacce di Cofferati (riferitemi da persona assolutamente attendibile) nei miei confronti venissero strumentalizzate da qualche criminale». «Assolutamente attendibile», quella persona lo deve essere in un gioco doppio.

E´ credibile per Marco Biagi che deve ritenerla sincera e informata delle mosse e delle parole del segretario della Cgil e affidabile, qualificata anche agli occhi di Sergio Cofferati perché il professore di Bologna sembra non dubitare dell´accesso della sua «fonte» alle intenzioni più nascoste del leader sindacale. Cofferati non ha mai minacciato (tantomeno pubblicamente) Biagi, ma ammettiamo che lo abbia fatto. Dove lo ha fatto, dinanzi a chi? Può averlo fatto soltanto in privato, diciamo così, in una ristrettissima cerchia a cui la «persona assolutamente attendibile» appartiene. Biagi lo sa. Ha modo di saperlo al di là di ogni dubbio. Gli crede. Quella frase («Non vorrei che le minacce...») suggerisce allora che è stato all´opera chi, in buoni rapporti con Cofferati, lubrificava con sapienza l´angoscia del giuslavorista.
La nostra fonte del Viminale sillaba la sua domanda, come se fosse sovrappensiero: «Perché il professore era così preoccupato?». E´ una buona domanda perché il Viminale ha sottovalutato colpevolmente (irresponsabilmente) per mesi l´allarmato grido di aiuto del professore fino a lasciarlo cadere nel nulla. Esiste una buona risposta? La verità, se la si racconta dalle stanze del Viminale, è che l´intera catena di comando della sicurezza (dai questori ai prefetti di quattro città fino al capo della polizia) maturò nell´estate del 2001 la convinzione che Marco Biagi fosse emotivamente fragile. Troppo fragile. Quasi ossessionato da un timore che lo imprigionava. Il pre-giudizio ha condizionato catastroficamente l´intera faccenda. Oggi al Viminale non lo negano.
«E´ vero, non abbiamo compreso il dramma di Marco Biagi. La sua disperazione ci appariva irragionevole. I controlli sulle minacce telefoniche ebbero un risultato negativo e fummo addirittura tentati di liquidare la sua apprensione come una mitomanìa. Non riuscimmo a capire. Non ci chiedemmo perché un uomo equilibrato e assennato fosse così impaurito al punto da cedere alla tentazione di rendere reali quelle che allora erano ombre. A nessuno di noi è saltato in mente di gettare sul tavolo la domanda più semplice: e se Marco Biagi sapesse qualcosa che non sappiamo e non ci dice? E´ questa la domanda chiave che oggi quel riferimento a una "persona assolutamente attendibile" ripropone. In molti hanno pensato che quella frase sia stata depurata dalla e-mail per coprire Cofferati. E allora perché lasciare il suo nome nella lettera al presidente Casini? Noi ipotizziamo che quella frase sia stata cancellata per proteggere la "persona assolutamente attendibile" e non svelare il suo ruolo al fianco di Biagi».
L´ipotesi investigativa che si mette insieme oggi al Viminale non è poi contorta. Il 9 giugno 2001 la prefettura di Roma revoca la protezione al professore. Biagi ne è quasi terrorizzato. Le lettere e i messaggi (finora conosciuti) con le richieste di aiuto simili a implorazioni hanno per gran parte la data di luglio. In luglio - ragionano al Viminale - la situazione si può dire sotto controllo. Il professore ha la scorta a Milano, Bologna, Modena. Non è più protetto nella Capitale, ma «a Roma, Biagi non si reca spesso e quando lo fa, le sue partenze non sono prevedibili e l´imprevedibilità degli spostamenti è la migliore protezione contro gli assassini».
Se la situazione non appare a Biagi sotto controllo, anzi al contrario pericolosissima, è per quel che al professore viene detto o suggerito da una persona o da persone che godono la sua fiducia. «Possiamo ipotizzare - continua la fonte del Viminale - che qualcuno gli dica: Marco sei in pericolo; Marco, il tuo nome gira in ambienti che non mi piacciono. Il professore ha fiducia del suo interlocutore, dei suoi interlocutori. Li giudica in grado di orecchiare quel tipo di informazioni. Si spaventa molto. Non intende però rivelare questi avvertimenti né tantomeno indicare da chi gli provengono. Chiede aiuto a chi può, dove può. Giunge al punto di denunciare con ambiguità alcune telefonate di minacce che non sono tali. E´ una mossa disperata di un uomo reso disperato dalle informazioni che gli vengono fornite. Da chi? E´ questo ora che dobbiamo scoprire. Perché? Questo ora dobbiamo sapere».
Lo scenario messo insieme ieri al Viminale inquieta. Lo si può dire così. C´è chi per settimane e mesi ha ingrossato l´angoscia di Marco Biagi con false informazioni terrorizzandolo. Il terrore del professore è apparso sopra le righe a chi doveva proteggerlo fino a screditare ogni sua invocazione. Privato delle fonti e delle informazioni, l´allarme appariva infondato e consegnava Marco Biagi, anche se sempre più fortemente esposto, a una disarmata solitudine che lo ha reso, alla fine, il più agevole dei bersagli.
Per trovare una qualche ragionevolezza l´ipotesi deve però spiegare la necessità di questa curiosa procedura. E´ una ragionevolezza che si può rintracciare soltanto se non c´è identità tra l´assassinio di Massimo D´Antona e la morte di Marco Biagi. Per dirla chiara, la stessa mano o per lo meno lo stesso gruppo terroristico ha ucciso i due giuristi? E´ l´ultima domanda da proporre alla fonte del Viminale. Questa è la sua risposta: «Al momento, da punto di vista investigativo, i due delitti sono legati soltanto da un filo logico. Non sappiamo se il gruppo di fuoco è lo stesso, se il comando è lo stesso. La certezza di un´identità può venirci soltanto dall´arma usata. La stessa pistola ha ucciso D´Antona e Biagi? Non possiamo ancora dirlo. Per quanto ci risulta, non c´è ancora una perizia definitiva. Questo è lo stato delle indagini. Poi, c´è l´esperienza. Anche nella morte di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino c´è un´identità. Ma, mentre l´assassinio di Falcone trova il suo movente nella volontà di Cosa Nostra, questa volontà non è univoca ed esclusiva nel delitto Borsellino».
 

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