Co.co.co., pochi assunti e tante partite Iva

giovedì 2 settembre 2004
Sacconi: un limite agli accordi aziendali che prorogano le vecchie collaborazioni. Stanno decollando i lavori a progetto
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Co.co.co., pochi assunti e tante partite Iva A un anno dalla riforma Biagi dura ancora la fase transitoria. Domani il governo vara le correzioni
ROMA - Che fine hanno fatto i co.co.co? A quasi un anno di distanza dall’entrata in vigore della riforma Biagi i contratti di lavoro «a progetto», introdotti dalla legge 30, dopo le iniziali incertezze, cominciano a prendere piede. Emerge però anche un fenomeno di nuove partite Iva formate da ex collaboratori continuati e continuativi, che solo così riescono a conservare il lavoro. Sono invece pochi i casi in cui il co.co.co. viene assunto a tempo indeterminato. Insomma, se il fine della legge era quello di svuotare il bacino dei lavoratori dipendenti mascherati da co.co.co. e di far sopravvivere come collaborazioni solo quelle vere (di qui l’obbligo di individuare un progetto), l’operazione è riuscita solo in parte. Gli abusi continuano e alla fine i più protetti sono sempre i lavoratori che prestano l’attività per aziende dove il sindacato è presente, come dimostra l’accordo del 24 maggio per il call center Telecom che ha previsto l’utilizzo di un ampio ventaglio di soluzioni per 4.350 co.co.co., dal lavoro a progetto all’apprendistato.
NUMERI E FORZATURE - Per cercare di capire come stanno le cose bisogna innanzitutto cercare di delimitare la platea dei collaboratori interessati alla Biagi. Presso la gestione Inps dei parasubordinati risultano iscritti circa 2,8 milioni di lavoratori. Ma le posizioni attive sono meno. Bisogna poi sottrarre i co.co.co. del pubblico impiego, esentati dalla riforma, gli amministratori e quelli iscritti ad altri fondi. Alla fine, secondo i calcoli del Nidil, il sindacato della Cgil che segue da vicino il settore, si possono stimare al massimo in 1-1,2 milioni i co.co.co. toccati dalla Biagi. Per questi la legge concedeva una proroga di un anno dei contratti stipulati prima del 24 ottobre 2003, data di entrata in vigore della riforma. Che prevedeva anche la possibilità di una deroga ulteriore attraverso accordi aziendali, come è successo con l’intesa del 2 marzo tra i sindacati e l’Assocallcenter, che interessa 10 mila centralinisti e che, in cambio di tutele di base (minimi di paga, permessi malattia e maternità), proroga i vecchi co.co.co. fino al 2005.
DECRETO - Per evitare altre forzature, spiega il sottosegretario al Lavoro Maurizio Sacconi, domani il consiglio dei ministri varerà il previsto decreto legislativo di correzione della Biagi nel quale, fra l’altro, ci sono norme che «limitano la possibilità di proroga dei co.co.co. attraverso accordi sindacali» al massimo a 24 mesi mentre finora non c’era un termine. Non solo: «Ci saranno disposizioni per agevolare la trasformazione dei co.co.co. in lavori a progetto, prevedendo che le parti possano fare transazioni sul pregresso», ed evitare contenziosi davanti alla magistratura.
PARTITE IVA - Insomma, «siamo ancora nella fase transitoria», sottolinea Paolo Sestito, consigliere del ministero nonché tra gli autori del libro bianco sul mercato del lavoro. Però alcune tendenze si vanno delineando. Dice Paolo Citterio, presidente dell’Associazione dei direttori risorse umane Gidp: Ci risulta che il 20-30% dei co.co.co. è stato confermati con un accordo sindacale. Un altro 30% è stato trasformato in lavori a progetto. Il resto si divide tra partite Iva, lavoro in nero e altro».
CONTRATTI A PROGETTO - Secondo il Nidil la diffusione dei contratti a progetto è maggiore. Spiega il segretario nazionale Davide Imola: «Dopo la circolare del governo le imprese hanno capito che fare i contratti a progetto era semplicissimo. Si è arrivati al punto da prendere un cuoco dove il progetto è "acquisire nuovi clienti". Credo che ormai i due terzi dei vecchi co.co.co. siano in corso di trasformazione in contratti a progetto, ma per i lavoratori non cambia nulla, tanto che se l’obiettivo era di combattere gli abusi questi sono stati legalizzati». Non è d’accordo Natale Forlani, amministratore delegato di Italia Lavoro: «Noi abbiamo utilizzato 3-400 collaboratori col contratto a progetto. Rispetto a prima, quando erano co.co.co. sono molto più protetti. Hanno un contratto scritto, che li garantisce sulle condizioni normative ed economiche e una serie di riposi, permessi e tutele, compresa la maternità». Ma certo non è dappertutto come a Italia lavoro. «La realtà è - secondo Imola - che la legge non ha incentivato la contrattazione collettiva e quindi il lavoratore nel rapporto individuale con la controparte è debole». E questo spiegherebbe anche il fatto che molti sono stati costretti dal committente ad aprirsi la partita Iva. Che ci sia stato un aumento delle partite risulta anche all’Agenzia delle entrate: quelle attive erano, a luglio, 8 milioni 33 mila contro i 7 milioni 794 mila di dicembre 2003. Anche se, ovviamente, non si può dire quanto ciò sia dovuto agli ex co.co.co.
Enrico Marro Economia
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