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ATTUALITA'
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lunedi 26 Febbraio 2001
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Coin, fratelli divisi ma non sulle strategie Piergiorgio ha chiesto ai giudici di smontare il meccanismo delle casseforti di famiglia: sarà una querelle destinata ad andare per le lunghe, ma questo non ostacola il gruppo nella sua espansione verso i mercati esteri. Digerita la tedesca Kaufhalle punterà su Francia, Spagna ed Est Europa PAOLO POSSAMAI
Quando Aristide Coin e sua moglie Angela agli inizi del dopoguerra parlavano di mercato, non intendevano Piazza Affari. Conoscevano invece a menadito le piazze dei paesi veneti, erano protagonisti di quei mercati con i loro banchi ambulanti di tessuti e maglieria. Allo stesso modo aveva sbarcato il lunario il padre di Aristide, Vittorio, che ai mercati vendeva aghi, fili e cordelle. La storia sta in tre fogli di quaderno incorniciati, che l’attuale presidente della holding Coin tiene in bella vista nel suo ufficio, al quartier generale di Mestre. Il presidente si chiama Vittorio, come suo nonno, e delle sue origini va orgoglioso. Non è di quei veneti che abolisce la pronuncia tradizionale del suo cognome in virtù di una sorta di complesso d’inferiorità: si chiama Coìn e non Còin, anche se sa che dentro questa seconda espressione c’è la parola benaugurale inglese "moneta". Se Vittorio Coin fa mostra di non aver dimenticato i mercati di paese, per lui tuttavia il mercato è ormai una piazza europea. Tanto più la dimensione di impresa familiare è stata superata quando Vittorio Coin ha portato il Gruppo, il 28 giugno 1999, a quotare in Borsa poco più del 28% del capitale. Il resto è nelle mani di Vittorio, di suo fratello Piergiorgio e dei loro familiari. Un patrimonio diviso pariteticamente fra i due fratelli, conteso davanti al tribunale di Venezia, dopo che nel luglio ‘99 Vittorio è subentrato nella leadership aziendale a Piergiorgio, che reggeva la presidenza da 26 anni. Le cassaforti di famiglia si chiamano "FinCoin" (detiene il 17,5% della spa) e la sas "Piergiorgio Coin e Vittorio Coin e C." (controlla il 54% della spa). L’abbreviazione di "company" nella dicitura della seconda società contiene come azionisti i figli di Piergiorgio (Marta e Marco), i figli di Vittorio (Piero e Francesca), quattro professionisti in qualità di "soci d’opera e non di capitale" (gli avvocati Alfredo Bianchini e Roberto Riccoboni, l’ingegnere Riccardo Costaguta e il professor Vittorio Coda). Piergiorgio ha chiesto ai giudici "l’invalidazione o la liquidazione" delle due società, in modo da disporre del suo 35,75% senza sottostare ai patti interni, che prevedono il diritto di prelazione da parte dei contraenti in caso uno dei due fratelli decida di vendere. La querelle si trascina in tribunale e con ogni probabilità italicamente andrà avanti per anni. Senza traumi era invece uscita dal Gruppo, alla metà degli anni ‘90, la sorella di Vittorio e Piergiorgio: Paola Coin vive a Milano e gestisce in proprio una linea di oggettistica per la casa. Vittorio fa mostra di non crucciarsi dei bisticci familiari, si dedica all’espansione del business, in Italia e all’estero. Accanto a sé in azienda ha il figlio Piero, 30 anni, che sta completando un programma di training (senza responsabilità specifica in qualche settore). Piero Coin ha lavorato in Gran Bretagna dapprima in una importante società di consulenza aziendale, poi nella catena di grandi magazzini americana Gap. "Adesso Piero sta affrontando la conoscenza delle diverse divisioni interne al Gruppo – spiega Vittorio Coin – dopo di che deciderà cosa vuol fare. Non ha alcun obbligo di lavorare in questa azienda, ha solo l’obbligo di prepararsi al meglio alla vita". Gli altri tre eredi non hanno mai dichiarato interesse a occuparsi del Gruppo. Francesca, 33 anni, sposata con un figlio, segue l’azienda agricola di famiglia e la sua scuola di equitazione nelle campagne friulane. Quanto ai due figli di Piergiorgio, Marco ha 26 anni e ha appena terminato gli studi all’università di lingue moderne a Milano, mentre Marta, che di anni ne ha 28, lavora al Gruppo Fila e s’è sposata nel maggio 2000 con il milanese Guido Castellini Baldissera (testimone di nozze: l’amministratore delegato di Mediobanca, Vincenzo Maranghi). Definito l’albero genealogico, Vittorio Coin tiene anche a marcare la separazione fra azionariato e management. Tale distinzione la mette in rapporto con la quotazione a Piazza Affari, poiché se il collocamento "ha fatto bene agli investitori che in poco più di un anno hanno visto crescere il titolo da 7 a 14 euro", quando alla dimensione interna "è stato un passo utile a rafforzarci sul piano manageriale e strategico, in modo da fronteggiare l’arrivo, che prima o poi succederà, dei grandi Gruppi internazionali come la svedese Hennes & Mauritz, le spagnole Zara e Mango, l’americana Gap. Sono colossi che non appena sbarcano su un mercato comprano quel che c’è sulla piazza. Noi rischiavamo di finire assorbiti". Di qui, per esempio e fra l’altro, la chiamata quale amministratore delegato di Paolo Ricotti, che ha un passato da manager alla Heineken Italia e alla Nestlè. Non solo il Gruppo Coin s’è attrezzato a difendersi da eventuali ingressi colonizzatori sul mercato italiano, ma ha anche intrapreso la via del Nord Europa. Data al settembre scorso l’acquisizione della catena tedesca Kaufhalle. L’accordo è operativo dal primo gennaio 2001. "Procederemo a convertire Kaufhalle in Oviesse – dice Vittorio Coin – più o meno come abbiamo operato con Standa. Saranno 94 punti vendita. In termini di fatturato, Kaufhalle sviluppava un giro d’affari di 450 miliardi: a fine ristrutturazione pensiamo di fare meglio". Sta in buona misura nell’apporto dell’acquisizione tedesca il progresso stimato per l’anno a venire, nel quale il Gruppo Coin stima di fatturare circa 3 mila miliardi. Sarà poi da vedere come evolveranno altre iniziative. La partnership con PinaultPrintempsRedoute prevede nei prossimi 5 anni l’apertura di sei negozi a insegna Fnac, marchio prestigioso nella distribuzione di libri, dischi e materiale fotografico. A fine anno sarà verificato il test in corso in Svizzera, dove Coin ha aperto in franchising quattro negozi pilota della catena Abm. Secondo l’accordo, i punti vendita nel territorio elvetico potrebbe decuplicare a partire dall’anno venturo. "Lo sviluppo all’estero è fondamentale – dice ancora Vittorio Coin – ma va attuato con gradualità, perché ora siamo alle prese con disegni di ristrutturazione complessi e onerosi. Quando la digestione di Kaufhalle sarà più avanti, inizieremo a pensare ad altri Paesi come la Francia, la Spagna. Quanto all’Est europeo, Polonia, Repubblica Ceka, Slovacchia sono tutti paesi satelliti della Germania, rispetto ai quali partiremo in vantaggio". L’attitudine di Coin è tanto più rilevante perché applicata a un settore, quello della grande distribuzione, in cui l’Italia è stata finora terra di conquista. Dopo i raid dei grandi gruppi francesi e tedeschi, Coin s’appresta a rendere la visita, assumendosi peraltro oneri che pesano sul bilancio. La riconversione di Standa è costata 300 miliardi, quella di Kaufhalle s’annuncia non meno impegnativa. "Era inevitabile e calcolato — spiega il presidente – per il 2000, confermiamo le previsioni che stabilivano un giro d’affari di 2.5002.600 miliardi e un risultato operativo positivo. Il 2001 ci vedrà tornare in utile. Ricordo d’altra parte che Standa, sotto la gestione Berlusconi, maturava 120130 miliardi di perdite l’anno". Il mercato di tale scenario s’è reso conto, se si considera l’andamento assai positivo del titolo. A confortare gli investitori, fra l’altro, è venuta l’acquisizione a zero di Kaufhalle: la holding Divaco, che conta fra i propri azionisti Deutsche Bank e Gruppo Metro, vendendo la catena ai Coin ha anzi riconosciuto 125 miliardi di avviamento, un bonus utile per attuare la trasformazione in Oviesse e per istradare la nuova gestione. "La nostra filosofia è– conclude il presidente – coprire la massima quota di mercato, poiché i volumi sono una condizione per mantenere autonomia in questa stagione dominata dal gigantismo".
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