23/6/2010 ore: 11:29

Dall’Alitalia alla Fiat: una newco vi seppellirà

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Il «modello Pomigliano» proposto dalla Fiat non nasce oggi. Tutto cominciò con la «cordata italiana»: un insieme pittoresco di imprenditori corsari, banche con crediti «in sofferenza» presso clienti semifalliti (ma «incordati»), immobiliaristi e concessionari pubblici. Vennero convocati da Berlusconi per «salvare l’italianità » dell’Alitalia, ormai destinata ad esser comprata da Air France. Per convincerli, e dar fiato a un’operazione ai limiti dell’assurdo,
furono garantiti dallo stato i debiti, i crediti fiscali e contributivi per la fase di start-up. In cima a tutto, però, veniva posta la creazione di una una nuova compagnia (newco) destinata ad assorbire a prezzi modici la «parte buona» di Alitalia e una «bad company» per fagocitare e disperdere debiti, personale pensionabile o semplicemente licenziabile.
Era una «privatizzazione» giocata sul limite del fallimento tecnico di una società di proprietà dello stato. I dipendenti, anche lì additati come «privilegiati» e «assenteisti », furono tutti licenziati e in minima parte riassunti – uno per uno – senza più un contratto certo di riferimento; costretti a una scelta individuale tra chinare la testa a lungo termine o fare la fame da subito. Per i sindacati si trattò di scegliere tra il diventare una dependace dell’ufficio del personale e il restare sotto il fuoco nemico a discrezione dell’azienda. La Cgil – la Filt – in quel caso firmò dopo qualche (breve) esitazione. A remare controcorrente rimase solo il sindacato di base (Sdl, ora unificato nell’Usb). A Pomigliano – secondo le linee del cosiddetto «piano C» – si ventila qualcosa di più e di peggio: la rinuncia individuale a un diritto costituzionale (la libertà di sciopero), a un diritto normato dalla legge (la retribuzione in caso dimalattia, su base dell’iter individuale) e alla possibilità di contrattare la propria prestazione lavorativa (a livello nazionale, prima e più che aziendale). Nell’ufficio giuridico della Fiat deve regnare in questi giorni la massima confusione. E l’unico «asset » a loro vantaggio è costituito da un governo che pensa la legge come un ukaze zarista e la Costituzione come un paio di manette. La Fiat si è probabilmente resa conto che il «diktat» per Pomigliano – servilmente siglato da ben quattro sindacati (Cisl,Uil, Ugl, Fismic) – non può reggere se la Fiom nega l’assenso e i lavoratori si appellano alla Corte Costituzionale. Il «piano C» è figlio di questa consapevolezza, corroborata dal fatto che il «piano B» (lasciare la produzione della Panda a Tychy) è difficilmente gestibile dopo aver sollevato tutto questo polverone. Anche per il «piano C» tutto passa tramite la creazione di una newco cui assegnare solo la produzione di Panda a Pomigliano; una società formalmente indipendente che assume ex novo e in deroga a tutte le leggi e i contratti esistenti. Con la Costituzione aggirata da un codicillo che sa tanto di «contratto di libera schiavitù» (se scioperi sullo straordinario «comandato », ti licenzio). La Fiat si conferma così all’avanguardia della «reazione padronale», indicando la strada al resto dell’impaurita (dalla crisi) classe imprenditoriale italiana: in questo paese – è il senso da «dopo Cristo» attribuito al voto di ieri – si può «investire» solo se si cancella il sistema di diritti collettivi e individuali conquistati con una Resistenza e 60 anni di lotte. Sembra «un ragionamento che non fa una grinza», quello per cui «la globalizzazione ha cambiato tutto, chi si attarda a difendere vecchi privilegi è perduto». E’ invece un ragionamento stupido, che prende in considerazione solo il «quanto comanda l’impresa», senza considerare il «cosa» produce. E a chi lo vende. L’esempio di Alitalia torna utile. Nel 2008 la «vecchia» compagnia, piena di «privilegiati» e «fannulloni », perdeva 370 milioni di euro l’anno, gestendo 238 aerei e oltre 20.000 dipendenti (compresa AirOne, ora assorbita). Nel 2009 l’Alitalia «privatizzata» e senza più opposizioni interne ha perso quasi altrettanto (326 milioni), anche se gli aerei sono solo 151 e i dipendenti 14.000. La domanda regina per la Fiat è dunque: a chi venderà tutte quelle Panda, se in tutta Europa gli occupati diminuiscono e i salari scendono?

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