Fiat, il giudice reintegra i tre operai licenziati
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Il caso di Melfi. Il Lingotto: il piano va avanti
Il tribunale di Melfi ha condannato la Fiat-Sata per comportamento antisindacale, reintegrando i tre operai licenziati per «sabotaggio alla produzione». Per la Fiom l’azienda deve cambiare strada. La Fiat non modifica i piani. ROMA — Il tribunale di Melfi ha condannato la Fiat-Sata per comportamento antisindacale e ha disposto il reintegro immediato dei tre operai licenziati il 13 luglio scorso per «sabotaggio alla produzione». Il provvedimento contro Antonio Lamorte, Giovanni Barozzino e Marco Pignatelli (tutti e tre Fiom, i primi due delegati sindacali) era stato deciso dall’azienda in quanto, durante lo sciopero del 6 luglio, avevano bloccato alcuni carrelli robotizzati provocando il fermo della catena di montaggio. Il giudic e E milio Minio,secondo quanto riferito dalla Fiom, ha appurato che il blocco del carrello incriminato sarebbe stato disposto dal responsabile del reparto in quanto, per colpa della protesta, era venuto meno il controllo da parte del personale.
La Fiat, difesa nella circostanza dagli avvocati torinesi Diego Dirutigliano, Luca Ropolo e dai colleghi baresi Bruno Amendolito, Maria Dibiase e Grazia Fazio ha evitato per ora ogni commento in attesa di leggere il testo completo della sentenza e non affidarsi, in una vicenda così delicata, alle anticipazioni delle agenzie di stampa. La sconfitta della linea dura scelta dal Lingotto, sempre che in un probabile appello le cose non vadano diversamente, è stata ovviamente salutata con soddisfazione dal sindacato. E anche dai tre operai che erano stati protagonisti di una spettacolare protesta, salendo per alcuni giorni sulla Porta Venosina di Melfi, interrotta solo per un malore a uno di loro.
Per Maurizio Landini, segretario generale della Fiom, «è una sentenza molto importante che ribadisce il comportamento antisindacale della Fiat e dimostra che l’azienda deve cambiare strada». «I licenziamenti — continua Landini — sono arrivati dopo il voto di Pomigliano e le elezioni delle Rsu a Melfi dove per la prima volta la Fiom è diventata il sin-dacato più importante,se l’azienda vuole uscire dalla crisi deve coinvolgere tutti i lavoratori e tutti i sindacati». Anche se, nel merito, i licenziamenti di Melfi sono un fatto a sé stante, è impossibile separare l’episodio dal clima di forte contrapposizione tra Cgil-Fiom e Fiat dopo lo scontro su Pomigliano e sulla revisione del contratto nazionale alla ricerche di deroghe per evitare l’uscita del Lingotto da Confindustria.
Il clima resta teso. Anche dentro il sindacato. Pur accogliendo con favore la decisione del giudice Minio, Fim e Uilm sono preoccupate dalle conseguenze sul futuro di Melfi dopo che la fabbrica è stata messa «a ferro e fuoco dalla Fiom per 20 giorni». Secondo Rocco Palombella , leader Uilm, «il Lingotto difficilmente ora produrrà qua la monovolume preferendo la Serbia, la Fiom doveva scegliere solo la via legale». Per Giuseppe Farina (Fim) «tutti hanno esagerato, azienda e Fiom, ma la sentenza dimostra che il sistema di garanzie funziona, ora ci si concentri su Fabbrica Italia».
Dentro il sindacato continua a regnare la divisione. Se per il segretario generale della Uil Luigi Angeletti «la sentenza, pur positiva per i lavoratori, non avrà alcun effetto sulle relazioni industriali tra il Lingotto e i sindacati», per il segretario confederale della Cgil Vincenzo Scudiere lo avrà eccome. «La sentenza — spiega Scudiere — conferma come abbiamo ragione sul fatto che i diritti non possano essere messi in alternativa all’occupazione e dimostra che la Fiat può anche sbagliare». «Ma siamo sempre a disposizione — conclude — per riaprire un confronto con relazioni sindacali più leali e corrette».