Fondazione Brodolini: Lo Statuto fa i conti con l’età
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Sabato 16 Dicembre 2000 italia - lavoro Giugni: a 30 anni dalla nascita va adeguato ai cambiamenti. Salvi: «Una legge di straordinaria attualità». Lo Statuto fa i conti con l’età. Per la Fondazione Brodolini non ha frenato la crescita occupazionale
ROMA. Trent’anni e un po’ li dimostra. Almeno a sentire il padre dello Statuto dei lavoratori, Gino Giugni, che ieri ha ricordato, a un convegno della Fondazione Brodolini, il trentesimo compleanno della legge 300 del 1970. «È stato un benefico strumento per rendere più efficiente il sistema economico italiano ma — ha detto Giugni — senz’altro c’è qualcosa da cambiare, per adeguarlo alla nuova economia e ai nuovi lavori. Oggi siamo in piena fase di cambiamento e solo tra una decina di anni ne vedremo i risultati. E chissà, può darsi che allora lo Statuto non servirà più». Ci ha pensato invece il ministro del Lavoro, Cesare Salvi, a difendere a spada tratta lo Statuto che, diversamente da Giugni, considera di «straordinaria attualità». Una difesa che punta soprattutto a respingere gli attacchi su quella che è la parte più assediata di tutta la legge 300: l’articolo 18, ossia la disciplina dei licenziamenti e il diritto alla reintegrazione sul posto di lavoro. «Il problema — ha detto Salvi — non è di ridurre le garanzie per chi già le ha, ma di creare una rete di sicurezza e protezione per i giovani che iniziano a lavorare adesso e non godono di alcuna garanzia. Credo sia a questo che si riferisca Fazio quando parla di Statuto dei nuovi lavori». Ma anche su questo punto Salvi non incrocia Giugni: «Il mio pallino — ha detto Giugni — sono l’arbitrato e la conciliazione: attraverso queste due strade si modificano le regole all’uscita».
Ma la via del cambiamento sembra al momento sbarrata. Secondo Giugni e Aris Accornero, il malposto quesito referendario dei radicali sui licenziamenti, bocciato dalle urne, ha congelato tutta la materia diventata, dopo quel "no", intoccabile. «Credo che a questo punto sia utile ragionare su una nuova rete di protezione, quella che tuteli la discontinuità dei lavori. Questa ormai è una realtà — ha detto Accornero — e occorre che dal punto assicurativo, previdenziale ma anche per quel che riguarda l’indennità di disoccupazione, si debba pensare anche a chi passa da un lavoro all’altro. Ecco, fatto questo primo passo, dopo si può anche pensare a come intervenire sulla flessibilità in uscita». Insomma, l’impegno deve andare in direzione di un nuovo equilibrio delle tutele perché non c’è più solo una tipologia di lavoratore ma tante diverse generate dai vari contratti a tempo e dalla new economy. «La Spagna è tornata indietro incentivando la stabilità del posto — ha commentato Salvi — e lo stesso Governatore Fazio accanto alla richiesta di una maggiore flessibilità apre la strada a forme di partecipazione tra lavoratori e imprese che mi sembra un modo per riequilibrare tutele e diritti». D’accordo anche il presidente Cnel, Pietro Larizza: «Non ci sono problemi a migliorare alcune parti dello Statuto. Sarebbe un errore solo la modifica dell’articolo 18».
In realtà, la vera arma di Salvi a difesa dello Statuto sono stati i dati di una ricerca della Fondazione Brodolini dai quali risulta che la legge 300 non ha affatto frenato l’occupazione. In particolare, prendendo come riferimento l’anno dopo l’entrata in vigore dello Statuto, si vede come i posti di lavoro siano cresciuti nelle aziende tra i 16 e i 20 dipendenti, più che in quelle sotto i 15, fuori dalle legge. La Fondazione ha soprattutto attaccato le tesi del Fondo monetario internazionale, bocciato anche da Salvi, secondo le quali meno protezioni equivalgono a maggior occupazione: nella graduatoria Fmi delle migliori performance occupazionali i paesi anglosassoni sono infatti in testa e l’Italia è invece agli ultimi posti. Una teoria confutata dalla Fondazione con più argomentazionii: la prima è che non è stata fatta la "tara"dell’agricoltura, un settore che nell’Europa meridionale è andato in caduta libera; la seconda è che per fare un paragone corretto occorre avere come riferimento solo l’industria manifatturiera e una parte dei servizi. «Con queste premesse — si legge nella ricerca — si vede come la performance migliore sia del Giappone, Paese che ha una protezione sociale molto forte, seguito da Europa continentale, Paesi anglosassoni e scandinavi». La Fondazione, però, suggerisce anche di tenere conto dei cambiamenti, del superamento di un modello di lavoro, il taylorismo, della frammentazione delle carriere che rendono poco attuale lo Statuto e pongono la necessità di un nuovo patto sociale. Intanto ieri è stata raggiunta un’intesa da sindacati e Confapi proprio su conciliazione e arbitrato.
Lina Palmerini
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