8/2/2007 ore: 12:48
Giacomelli, la fabbrica dei falsi
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Pagina 37 - Finanza & Mercati Crak. La Procura di Rimini chiude l'inchiesta con 18 indagati per il buco da 742 milioni di euro Il Pm di Rimini, Luca Bertuzzi, ha chiuso in questi giorni le indagini sul crak da 742 milioni di euro. La lunga inchiesta, condotta dal Nucleo di polizia tributaria di Bologna (primo gruppo ex verifiche speciali), si è conclusa con 18 indagati: dall'ex presidente Emanuele Giacomelli al padre Antonio e la moglie Gabriella Spada, dall'ex direttore finanziario Stefano Pozzobon a numerosi parenti dei coniugi Giacomelli, fino al loro ex autista. L'avviso di chiusura delle indagini ipotizza numerosi reati: associazione a delinquere, bancarotta fraudolenta aggravata, ricorso abusivo al credito, frode fiscale, emissione di fatture false, manipolazione del mercato, calunnia, truffa, riciclaggio, falsità in scrittura privata. Totale: 17 capi d'imputazione. Descritti nell'avviso di chiusura indagini. Uno dei modi per "svuotare" il gruppo consisteva nell'aprire punti vendita ad insegna «Giacomelli Sport» nell'Est Europa. Negozi che, «attraverso le condotte delittuose di sovra-fatturazione e di duplicazione dei pagamenti, venivano utilizzati per distrarre ingenti quantitativi di denaro dal Gruppo Giacomelli». Per compensare in bilancio le perdite, poi, i vertici della società e alcuni complici instauravano rapporti commerciali fittizi. per esempio Giacomelli Sport e la Arredo Trading ( amministrata da Vittorio Fracassi, consulente del gruppo) «facevano risultare acquisti e vendite di beni fittizi, supportati da movimentazioni finanziarie anch'esse artefatte, determinando un volume di falsi elementi attivi di reddito» nel bilancio Giacomelli per 57 miliardi di lire tra il 1997 e il 2000: in questo modo - scrive il Pm - si determinava «una redditività aziendale fittizia, così mascherando le perdite». Ma il massimo della "fantasia" gli ex vertici del gruppo l'hanno raggiunto falsificando le fatture della Nike. Tra il 2000 e il 2003 hanno simulato pagamenti per l'acquisto di merce, producendo fatture false per oltre 50 milioni di euro: denaro che veniva riciclato (accreditandolo direttamente nei conti dei loro consulenti e poi riprelevato in contanti) e che poi veniva compensato in bilancio con «incassi fittizzi al fine di gonfiare i corrispettivi delle vendite». Come facevano? Stampavano giorno e notte scontrini per «far apparire un volume d'affari superiore a quello effettivo». E, nel 2003, quando il gruppo non ce la faceva più a pagare i fornitori? I Giacomelli ne inventano un'altra: una denuncia per un furto (falsa) di assegni per 139 milioni di euro. L'esposto aveva come unico scopo quello di «ottenere il sequestro di tutti gli assegni che erano stati consegnati ai fornitori e che non potevano essere pagati per mancanza di fondo». Nel documento il Pm contesta infine l'acquisizione della Longoni. Ora l'inchiesta è chiusa. Gli avvocati hanno accesso al materiale raccolto dagli inquirenti per elaborare la loro difesa. Poi il Pm deciderà per chi chiedere il rinvio a fiudizio, anche se per qualche indagato minore è possibile l'archiviazione. |