
(Del 5/3/2003 Sezione: interni Pag. 8) analisi Pierluigi Battista
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NEGLI ANNI OTTANTA LA SVOLTA: LE BRIGATE ROSSE DECIDONO DI COLPIRE UN NUOVO TIPO D´INTELLETTUALE
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Giuslavorista: sempre più lui il nemico da odiare e uccidere |
fino agli agguati a due studiosi schivi e appassionati: D´Antona e Biagi |
SONO, oramai da un ventennio, permanentemente nel mirino dei brigatisti rossi. Sono studiosi e intellettuali, spesso schivi e quasi sempre non agitati dal démone della notorietà e del protagonismo, che mai avrebbero immaginato, scegliendo di occuparsi dei problemi del lavoro, di ritrovarsi in trincea esposti al fuoco di chi li considera Nemici assoluti. Sono «intellettuali». Sono sociologi, giuristi, economisti che hanno fatto del «lavoro» il tema della loro vita, riformisti per vocazione, cresciuti nell´idea che le loro teorie debbano misurarsi nella concretezza. Frequentano aule universitarie, convegni, sindacati, uffici studi confindustriali, fondazioni indipendenti. Spesso, troppo spesso, muoiono, assassinati dai fanatici della lotta armata. O vengono feriti. Oppure minacciati, costretti a girare sotto scorta. Le Brigate Rosse hanno cambiato il destino personale e professionale di tanti «giuslavoristi» italiani. Prima della svolta degli Anni Ottanta, i brigatisti non pensavano ai giuslavoristi. I loro bersagli erano magistrati, politici, poliziotti, giornalisti, uomini in divisa «servi dello Stato». Nel loro mirino c´erano anche quelli che nel loro linguaggio sprezzante venivano chiamati «capi e capetti», cercavano consenso nelle fabbriche, credevano di appoggiarsi a una base operaia non sfavorevole alle loro gesta (e perciò colpivano un «delatore» come Guido Rossa). Colpivano anche gli «intellettuali», ma quegli intellettuali uccisi o gambizzati non erano giuslavoristi. Ammazzarono sulle scalinate dell´Università Vittorio Bachelet, ma perché aveva messo la sua competenza al servizio dello Stato «repressore». Uccisero Carlo Casalegno, ma come «agente della disinformazione». Fu negli Anni Ottanta che cambiò qualcosa. Colpirono mortalmente Enzo Tarantelli, giuslavorista vicino al riformismo Cisl, impegnato nella battaglia per la sterilizzazione della scala mobile: un nemico di classe. Ferirono Gino Giugni, giuslavorista socialista, l´intellettuale che assieme a Federico Mancini elaborò lo Statuto dei lavoratori voluto dal ministro socialista del Lavoro Giacomo Brodolini: un nemico di classe. Ferirono Antonio Da Empoli, professore impegnato, giuslavorista, manager dell´occupazione: un nemico di classe. Uccisero Roberto Ruffilli, politologo democristiano, politicamente vicino a Ciriaco De Mita e suo consigliere, intellettuale impegnato nel progetto di riforme istituzionali: un nemico di classe. Dopo qualche anno ammazzarono Massimo D´Antona, sociologo del lavoro, intellettuale di sinistra, collaboratore del ministro Antonio Bassolino: un nemico di classe. Trucidarono un altro «nemico di classe» Marco Biagi, sottile giuslavorista, impegnato nella riforma del mercato del lavoro, cattolico, collaboratore del Sole 24 Ore, autore del «Libro Bianco» (che Sergio Cofferati definì «limaccioso»), consulente del governo di centrosinistra con il ministro Tiziano Treu (giuslavorista) e del governo di centrodestra con il ministro Roberto Maroni, con il sottosegretario Maurizio Sacconi e il sottosegretario Maria Grazia Sestini, di Arezzo. Ad Arezzo è avvenuta la sparatoria dell´altra sera. E´ un giuslavorista Michele Tiraboschi, allievo di Marco Biagi, atteso per una conferenza ad Arezzo, assieme alla signora Biagi. E´ un giuslavorista Pietro Ichino il quale, nei giorni scorsi, ha raccontato sul Corriere della Sera la sua vita blindata di intellettuale superscortato perché nel mirino delle Br. E´ un giuslavorista Giuliano Cazzola, scortato anche lui, intellettuale che sul Riformista si presenta sarcasticamente ma amaramente, rifacendo il verso alle deliranti accuse brigatiste, «traditore della classe operaia», «affossatore del sistema pensionistico», «sotto tutela di pubblica sicurezza da Pasqua 2002», cioè pochi giorni l´assassinio a Bologna di Marco Biagi. Se quello delle Brigate rosse è un delirio, si tratta di un delirio che ha ben presente la figura del capro espiatorio da colpire ed annientare: l´intellettuale giuslavorista. Prima degli Anni Ottanta, il giuslavorista da colpire quasi non esiste nell´universo mentale delle Brigate Rosse. Dagli Anni Ottanta in poi, invece, le principali azioni terroristiche delle vecchie e nuove Br hanno quasi esclusivamente per beresaglio chi si occupa della riforma del mercato del lavoro. Mentre declina il mito della «classe operaia» per le Br il «lavoro», l´attaccamento nostalgico a un mito sempre più pallido diventa fissità ripetitiva, ossessione, oggetto seriale di killeraggio. L´obiettivo da colpire diventa chi, nell´ideologismo paranoico di marca Br, contribuisce attivamente al «grande complotto», allo smantellamento dell´antico conflitto capitale-lavoro e si propone la riforma moderna del «mercato del lavoro». Il bersaglio da abbattere diventa l´intellettuale che lavora con il «nemico», il giuslavorista bollato e odiato come un «collaborazionista». Da eliminare. Da uccidere.
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