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Gli americani a Roma: evitare i simboli Usa

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Gli americani a Roma: evitare i simboli Usa
Giovedì 4 Ottobre 2001
MCDONALD’S VUOTI, BLOCKBUSTER «IN CRISI»
 
ROMA
GEORGE Bush Junior cena da Morton’s, tempio della bistecca di New York, per incitare tutti a tornare alla vita normale, ma il suo esempio non valica l’Oceano, non fa breccia nella paura degli americani a Roma. Quelli che non sono scappati vivono la loro vacanza con timore. «E’ come se avessimo dietro le spalle un bersaglio che in qualunque momento qualcuno può decidere di colpire», dice John Taylor del Michigan che ieri passava davanti a uno dei suoi ristoranti preferiti, l’Hard Rock Café di via Veneto, senza fermarsi. «Non è certo il momento di scegliere un locale americano», dice scuotendo la testa. E fa effetto vedere le sale con i tavoli coperti dalle tovaglie a quadri rosse quasi deserte. Per mangiare hamburger e insalate nel risto-bar dedicato ai miti del rock prima dell’11 settembre occorreva fare una fila di un’ora. Adesso non c’è nessuno. Due coppie di argentini escono pieni di gadget e sorridono: «Paura? Ne abbiamo avuta più in Turchia». Certo il clima è teso e il buttadentro della catena controlla una a una le borse dei clienti. «E devo dire», dice «che nessuno si secca, anzi si sentono più tranquilli». D’altronde i cittadini americani in Italia sono stati sollecitati via Internet (il «public announcement» è arrivato direttamente a 1100 di loro collegati in rete con il sistema dell'ambasciata) a «non entrare in contatto con oggetti sospetti o sconosciuti» e a segnalare immediatamente la presenza di tali oggetti «alle autorità locali». Insomma ci si spia anche da tavolo a tavolo cercando nell’altro qualche segno sospetto.
Stessa storia al Planet Hollywood, ristorante di Stallone e soci, tutte star, che a via del Tritone nonostante offerte stracciate per il lunch non raccoglie adesioni. E la sindrome attentato, soprattutto dopo l’allarme lanciato dal Dipartimento di Stato e dall'ambasciata americana a Roma, ha colpito duro anche da McDonald’s, uno dei simboli del capitalismo yankee. Adesso sono pochi i genitori che ci portano i figli e chi ha prenotato una sala per farci la festa dei bambini ha disdetto. Non ridono da Blockbuster, dove si affittano cassette, si comprano pop-corn, pizze e Coca-cola. Anche lì, nel negozio di via Barberini, il traffico è dimezzato.
Piangono gli albergatori colpiti dall’esodo dei turisti made in Usa e dalla valanga di cancellazioni delle prenotazioni. E d’altronde basta fare un giro per musei o per negozi per accorgersi di quello che sta accadendo. Luigi Silvestrini, proprietario di Oliphant, ristorante texano di gran moda dice che gli ultimi americani li ha visti venti giorni fa. «Dopo l’undici settembre l’effetto paura è stato immediato. Ed è un problema perché sono loro quelli che spendono. Prima i ragazzi giovani in vacanza o gli studenti venivano dalle 18 per l’aperitivo. Adesso sono scomparsi».
C’è poi chi in Italia è costretto a viverci, come i funzionari dell’ambasciata (anzi delle ambasciate visto che Bush ha tre rappresentanti nella capitale: presso lo Stato, presso la Fao, presso la Santa Sede) che sanno di essere l’obiettivo numero uno. E da ieri, con l’arrivo di Bush senior per il convegno sulle imprese familiari, l’ansia è cresciuta. L’ex presidente degli Stati Uniti alloggia a villa Taverna, residenza dell’ambasciatore, e stasera sarà a villa Medici per una cena. A presentarlo ci sarà Mirta Merlino, giornalista economica, autrice di programmi tv per Rai Tre, che ha il compito di moderare la tre giorni di convegno. «Tutti i nostri programmi sono stati sconvolti dal problema sicurezza», spiega. «Gli invitati devono essere schedati uno a uno, la Casa Bianca ha richiesto praticamente delle biografie. Alla cena nessuno potrà portare nella sala macchine fotografiche e telecamere». E sembra che Bush si sia molto irritato della pubblicità data al suo pranzo oggi in Campidoglio dopo che aveva personalmente chiesto di non fare sapere i suoi spostamenti in città.
La situazione è difficile anche nelle scuole di lingua inglese, che fanno un po’ da termometro per valutare il livello di tensione. Miss Bennet, direttrice della Rome International school, ha come tutti i suoi colleghi obbedito ai consigli dettati dalle ambasciate. Maggior controllo all’entrata e obbligo di indicare il nome di chi va a prendere i ragazzi. E anche le feste di benvenuto dei nuovi alunni e per far conoscere i genitori, tipici del sistema anglosassone, sono state rimandate ad altra data. Il direttore dell’American Overseas school non vuole parlare. Per lui sono giorni neri con un problema in più vista che la sua è la scuola dove ci sono il maggior numero di ragazzi figli di funzionari dell’ambasciata israeliana. Anche per questo adesso davanti al cancello dell’istituto sulla via Cassia anche di notte è fissa una camionetta dei carabinieri. Aila, una mamma, è americana e sta meditando di togliere i figli e portarli in un istituto privato italiano. Come lei sono tentate in molte.

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