Grande distribuzione: il supermarket parla straniero
Contenuti associati
LUNEDÌ 29 DICEMBRE 2003 |
1- Il supermarket parla straniero
2- Fininvest, Benetton, Agnelli così hanno mollato i big italiani | |
3- Benoit Lheureux (Auchan) 4- Vincenzo Tassinari (Coop) |
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Pagina 14 - Economia |
GRANDE DISTRIBUZIONE L´alimentare dipende ormai per due terzi dall´estero Il supermarket parla straniero e in tavola addio made in Italy
Da Auchan a Carrefour, da Metro a Rewe, le grandi catene francesi e tedesche puntano al primato Sos di Coldiretti: è in corso un processo di espulsione della merce italiana. Posti a rischio FABIO BOGO
I numeri delle quote di mercato per centrali di acquisto sono quelli di una resa pressocchè totale. Negli ipermercati e supermercati leader è tornata la Coop, che grazie ad un accordo siglato due settimane fa con la piccola Sigma, pesa sul totale della spesa per il 19,6%. Ma sotto il precario primato del polo italiano batte bandiera straniera: Rinascente e Intermedia, con il marchio francese Auchan, controllano il 17,4% del mercato; Gs-Carrefour (ancora Francia) il 15,6%; Interdis e Me.ca.des, sotto l´insegna tedesca della Metro, sono solidi al 14%; Conad ha stretto un accordo con il gigante francese Leclerc e staziona sul 9,2%; la Rewe Italia, filiale del colosso germanico, ha il 2,3%. In mezzo a loro resiste (ma chissà per quanto) un polo italiano indipendente costituito da Esselunga (famiglia Caprotti), Selex e Agorà, che stoicamente "tiene" quota 16,4%. "L´Italia è terra di conquista in un settore strategico come quello alimentare - avvertono dal quartier generale della Coop, il colosso cooperativo italiano che da una decina di anni si è lanciato negli ipermercati - e bisogna stare attenti, perché la grande distribuzione non è neutrale nelle scelte. A parità o con lieve differenza di prezzo si tende a privilegiare i propri bacini produttivi nazionali: e così sugli scaffali, oltre a carne, latte e farina, si vedranno sempre più prodotti stranieri, dagli ortaggi ai succhi di frutta". Arance, zucchero e formaggi-base francesi; yogurt, salami e patate tedesche: il tricolore si ritira dai prodotti generici E a pagarne le spese, alla fine, sono i produttori italiani, che , privi di un sistema moderno che consente lo sfogo dell´export, si trovano le porte chiuse anche sul mercato nazionale. "Ci sono migliaia di posti a rischio se non si interviene - avvertono ancora i tecnici della Coop - perché la filiera italiana è fragile". Ma rischia anche la dinamica dell´inflazione. "Una volta preso il controllo della distribuzione - dicono - chi garantisce che l´extra profitto dei produttori non venga scaricato sugli scaffali di un paese terzo?" L´allarme della residua grande distribuzione nazionale è condiviso dalla Coldiretti, l´organizzazione dei produttori agricoli. "Stiamo facendo un censimento dei consumi - spiegano - e la sensazione è che il processo di espulsione della merce italiana sia in corso. E anche che vengano spacciati o mascherati per italiani prodotti che tali non sono: la materia d´origine non è roba di casa nostra". Per Paolo Bedoni, presidente di Coldiretti, l´unica difesa possibile a monte è l´incentivazione del marchio "made in Italy". "Bisogna collegare la filiera della produzione agricola a quella distributiva - dice - e rafforzare l´obbligo dell´indicazione di provenienza su tutta la merce, non solo sui prodotti doc o dop. Il prodotto deve essere strettamente legato al territorio, perché il "made in Italy"è un nome vincente, la gente lo riconosce e lo vuole. Solo così potremo salvare posti di lavoro e , grazie alla trasparenza e alla tutela della qualità, rafforzare un settore strategico" |
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IL CASO Standa, Gs e in parte Rinascente: ecco come è finito l´impegno della nostra grande industria nella distribuzione Fininvest, Benetton, Agnelli così hanno mollato i big italiani
Nel settore gli stranieri superano largamente il 50%. I casi di Spagna, Portogallo e Grecia ETTORE LIVINI MILANO - Ha mollato (senza troppa gloria) la Fininvest. Si sono defilati (in cambio di un congruo assegno) Benetton e Del Vecchio. Persino la famiglia Agnelli, secondo molti, potrebbe procedere in tempi nemmeno troppo lunghi all´addio a La Rinascente. Negli ultimi dieci anni la grande distribuzione italiana ha cambiato volto. Non solo per il boom degli iper-mercati ma soprattutto per l´"invasione" dei big stranieri. Che poco alla volta, soprattutto nella grandissima distribuzione, sono arrivati a superare largamente il 50% del mercato di casa nostra. |
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LA DIFESA
Benoit Lheureux (Auchan) "L´invasione? Non esiste"
Come spiega l´interesse di gruppi alimentari europei a catene italiane? «Guardi che quello italiano non è un mercato facile: pesano i costi, e le tasse che soffocano gli investimenti. Nonostante tutto siamo in presenza di un mercato moderno, maturo. Il futuro della grande distribuzione dipende però dalla volontà politica». Cosa manca allora? «In Francia i Comuni hanno tutto l´interesse a permettere l´apertura di centri commerciali. In Italia, invece il settore non si è sviluppato come merita. La temuta invasione straniera? Per quel che ci riguarda è un allarme infondato: da Auchan solo l´1% dei prodotti non è italiano. Il nostro mestiere è vendere ai clienti ciò che vogliono, a prezzi competitivi, come abbiamo fatto nonostante gli aumenti in alcuni settori della produzione». (lu.ci.) |
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L´ACCUSA
Vincenzo Tassinari (Coop) "Consumatori colonizzati"
ROMA - «Il rischio che corriamo è quello di essere colonizzati come consumatori. E la colpa principalmente è di quei grandi gruppi industriali, come Agneli, Benetton, Del Vecchio e Berlusconi, che non hanno creduto nell´alimentare e nella distribuzione e l´hanno venduto agli stranieri». Non usa mezzi termini Vincenzo Tassinari, presidente nazionale della Coop, quando analizza la situazione di supermercati e ipermercati italiani. Presidente Tassinari, ma italiano o straniero un negozio è sempre un negozio. Per i consumatori cosa cambia? «In apparenza niente, nella sostanza tutto. Primo, perchè i grandi distributori stranieri favoriscono i loro produttori e il made in Italy si riduce sugli scaffali; secondo, perché potrebbero avere la tentazione di scaricare in casa nostra la loro inflazione alla produzione; terzo, perché se i nostri produttori non vendono dovranno chiudere, è crescerà la disoccupazione». La ritirata italiana, però, è in corso da tempo... «E´ colpa di illustri soggetti imprenditoriali, che hanno risolto le loro difficoltà facendo cassa a spese dell´alimentare. Nessuno ha pensato che la distribuzione è un settore strategico per un Paese moderno. Io penso che una delle priorità di una nazione evoluta sia l´indipendenza commerciale. In Spagna, Portogallo, e Grecia ormai quasi il 100% della distribuzione è in mano straniera» (fa.bo) |