I cinesi conquistano la Volvo e «scalano» la tecnologia europea
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La casa svedese dalla Ford alla Geely del tycoon-poeta per 1,8 miliardi
NEW YORK — Poche cose danno l'idea dell'ascesa di un'Asia nella quale, con l'economia, crescono tumultuosamente la classe media e nuovi ceti affluenti e con gusti assai sofisticati, come gli investimenti dei suoi Paesi-guida nell'auto. Due anni fa la Jaguar, uno degli ultimi simboli dell'orgoglio imperiale britannico, è diventata un'azienda dell'ex colonia indiana. Adesso tocca a un'altra casa automobilistica blasonata - quella Volvo che è da mezzo secolo simbolo di robustezza, affidabilità ed eleganza - prendere la strada dell'Asia: l'azienda britannica, che era già da tempo finita nelle mani americane della Ford, fu acquistata, insieme alla Land Rover, dalla Tata, il gigante automobilistico di una dinastia industria che è, per l'India, quello che sono stati gli Agnelli per l'Italia.
Il nuovo padrone della casa svedese, anch'essa ceduta dalla Ford, è, invece, un fantasioso outsider cinese, Li Shufu, padrone della Zhe Jiang Geely, il maggiore tra gli industriali privati cinesi dell'auto. La cessione, attesa da tempo, è stata formalizzata ieri a Goteborg, in Svezia. La Volvo è stata pagata dalla Geely 1,8 miliardi di dollari. Per la Ford è un'operazione chiusa in perdita ma anche la fine di un incubo: undici anni fa la casa svedese fu pagata 6,5 miliardi di dollari. L'idea era quella di arricchire con una corona di gemme preziose - Jaguar, Volvo, Aston Martin, Land Rover, Mazda - una casa di Detroit dalle dimensioni gigantesche ma priva di prodotti lussuosi o tecnologicamente sofisticati.
Poi è arrivata la crisi e la Ford ha smesso di essere un colosso: per tamponare le perdite (30 miliardi nel triennio 2006-2008) e investire sulla qualità dei nuovi prodotti il gruppo ha venduto, pezzo per pezzo, la sua corona. L'Aston Martin nel 2007, Jaguar e Land Rover due anni fa e ora Volvo, mentre anche la quota residua di Mazda è in via di liquidazione. È la strategia di Alan Mulally, il capo arrivato a Detroit dalla Boeing, dove aveva diretto lo sviluppo di jet come i B777, che ha deciso di concentrare tutte le energie sul core business del gruppo: le vetture Ford e quelle degli altri suoi due marchi americani, Lincoln e Mercury.
Zhe Jiang Geely, l'azienda di Li Shufu, ha dimensioni produttive più o meno analoghe a quelle della Volvo (329 mila veicoli prodotti nel 2009 contro i circa 300 mila del gruppo scandinavo), ma è in rapidissimo sviluppo: quest'anno conta di vendere 410 mila veicoli e vuole arrivare a quota due milioni entro il 2015. Anche grazie alla Volvo che, promette il nuovo padrone, rimarrà un'azienda autonoma con testa e stabilimenti in Svezia, ma raddoppierà la produzione grazie alla costruzione di un nuovo impianto a Pechino capace di realizzare 300 mila Volvo l'anno da vendere in Cina e nel resto dell'Asia.
Li Shufu — un 47enne venuto dalla campagna che dal nulla ha costruito un impero passando dalla fotografia alla costruzione di componenti per frigoriferi, alle motociclette e, infine, alle auto — è un sognatore che ama pensare in grande, ma che, fino a ora, è riuscito a realizzare anche i progetti più temerari. All'inizio era stato preso sottogamba. In una Cina che ha assorbito lo stile imprenditoriale del capitalismo più brutale, Li è un'eccezione: un uomo affabile, che dialoga cordialmente con tutti. Anche eccentrico. Gira per Shanghai con un taxi londinese dipinto di bianco (è uno dei maggiori azionisti dell'azienda britannica che li produce). Addirittura un poeta i cui versi sono intessuti nel gigantesco tappeto che riempie l'ingresso del suo quartier generale.
Poi, però, il sognatore ha dimostrato di saperci fare con gli affari e, dietro la gentilezza, è spuntata anche una buona dose di spregiudicatezza. Oggi le sue aziende automobilistiche, che occupano nicchie nella produzione di vetture per la classe dirigente cinese, sono accusate di copiare le vetture europee, a cominciare dall' ammiraglia ribattezzata «baby Rolls Royce». Adesso non ci sarà più bisogno di copiare: la tecnologia Volvo è dei cinesi. Li, insomma, ha mostrato i denti, tanto che l'imprenditore «gentile» viene oggi spesso paragonato a capitalisti spietati dell'Ottocento e del primo Novecento come i Rockefeller e i Carnegie. Il padrone della Geely è, però, anche anche un battitore libero non privo di rapporti col governo e il Partito comunista. La Volvo cinese, così, è funzionale alla strategia di Pechino che sta rendendo la vita più difficile alle imprese occidentali. Da Google ai controlli minuziosi sulla qualità di molti prodotti importati, le barriere crescono ovunque.
Ce ne saranno di nuove anche per le aziende automobilistiche tedesche che fin qui hanno fornito le vetture usate dagli alti funzionari governativi. Presto quel parco andrà rinnovato: arriveranno altre Audi, Volkswagen e Mercedes o verranno preferite le Volvo «made in China»?