Praticanti equiparati ai co.co.co. Anzi no, ai lavoratori a progetto così come previsto dalle nuove norme sul mercato del lavoro introdotte con la riforma Biagi. I tirocinanti, dunque, potranno contare oltre che su un compenso, stabilito in accordo con il dominus, anche sul versamento dei contributi previdenziali. L'indirizzo, che introduce un principio assolutamente nuovo nei rapporti tra praticante e professionista, è contenuto in una circolare del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti (la 18/04) che, attraverso un'interpretazione della nuova normativa sui rapporti di lavoro, ha inteso chiarire a tutti gli iscritti, e in particolare agli studi che ospitano tirocinanti, quale d'ora in poi dovrà essere la linea da seguire per regolarizzare la posizione degli aspiranti professionisti.
Un'esigenza sorta, come spiega il direttore del Cndc, Giovanni Morano, per offrire una risposta chiara e univoca ´alle numerose e-mail inviateci dai colleghi ansiosi di trovare una soluzione relativa all'inquadramento contrattuale dei praticanti ospitati nei propri studi'.
Quattro sono secondo il Cndc gli elementi caratterizzanti il rapporto di tirocinio: la natura intrinsecamente correlata a quella professionale; senza vincolo di subordinazione a favore del dottore commercialista (dominus); un rapporto di collaborazione unitario nel rispetto dei requisiti di continuità e assiduità; senza impiego di mezzi organizzati sotto il controllo e presso lo studio del dottore commercialista. Elementi che, secondo il Consiglio nazionale, sono gli stessi di quelli che qualificavano i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa ora trasformati in contratti a progetto. Il nuovo inquadramento non comporta particolari oneri a carico del professionista, che non dovrà comunque pagare l'Iva, ma introduce maggiori garanzie per i praticanti, che potranno contare sui contributi previdenziali, da versare all'Inps, gestione separata.
´Questo tipo di interpretazione della disciplina contrattuale ci è sembrata la più aderente alla realtà dei rapporti che legano il dominus al tirocinante', spiega Mario Damiani, consigliere nazionale, che ha contribuito alla stesura della circolare. A
Altre formule, finora usate, come per esempio le borse di studio, non sembrano infatti indicate per rappresentare una realtà che non è solo di apprendimento teorico, ma anche concretamente operativa.
La scelta dei dottori commercialisti rappresenta, dunque, anche una precisa presa di posizione a favore di una maggiore tutela dei futuri professionisti, con un invito (per quanto del tutto implicito visto che Morano esclude che nella categoria sia molto diffuso il fenomeno del lavoro nero) alla regolarizzazione, ma soprattutto al riconoscimento di un effettivo lavoro svolto.
Chissà se altre categorie professionali seguiranno l'esempio dei dottori commercialisti, valorizzando il lavoro dei propri tirocinanti. (riproduzione riservata)
ItaliaOggi pubblica la circolare n. 18/2004 del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti in materia di ´Natura del tirocinio richiesto per l'ammissione all'esame di abilitazione all'esercizio della professione di dottore commercialista'
L'attività svolta durante il tirocinio richiesto per l'ammissione all'esame di abilitazione all'esercizio della professione di dottore commercialista ha natura di collaborazione coordinata e continuativa.È quanto si desume dalla disciplina vigente in materia di praticantato.
La legge istitutiva del tirocinio (L. 17 febbraio 1992, n. 206 che ha integrato l'art. 2 del dpr 27 ottobre 1953, n. 1067, recante l'ordinamento della professione di dottore commercialista) demanda a un apposito regolamento la determinazione delle modalità di svolgimento del tirocinio, specificandone peraltro la natura comunque ´professionale'.
L'art. 1 di detto regolamento (dm 10 marzo 1995, n. 327) precisa che il tirocinio deve essere svolto ´con assiduità, diligenza e riservatezza' (disp. cit., comma 1), ´presso lo studio e sotto il controllo di un dottore commercialista e comporta la collaborazione allo svolgimento delle attività proprie della professione' (disp. cit., comma 2).
Il Consiglio nazionale dei dottori commercialisti, con circolare n. 68 del 15 dicembre 1995, ha ulteriormente chiarito che il tirocinio ´comporta la partecipazione alla vita dello studio e allo svolgimento delle pratiche con assiduità e con l'indirizzo e la responsabilità del professionista, il quale fornirà le nozioni, i consigli e le direttive in modo tale che il praticante svolga una propria attività quale mezzo per essere posto in grado di esercitare la professione sotto l'aspetto tecnico e deontologico' (circ. cit., par. 1).
Con riferimento invece all'aspetto economico del rapporto, la medesima circolare precisa che al praticante ´è dovuto il rimborso delle spese eventualmente sostenute nell'interesse del dottore commercialista presso il quale svolge il tirocinio' e che ´pur essendo il praticantato per sua natura essenzialmente gratuito, il dottore commercialista potrà corrispondere al praticante una somma a riconoscimento dell'impegno profuso' (circ. Cndc n. 68/1995 cit., par. 1.1).
Dalle citate disposizioni emerge, dunque, che il tirocinante, accanto all'attività di studio e di apprendimento della tecnica professionale, presta un'attività lavorativa che ha contenuto correlato a quella del dominus e quindi ha essa stessa natura professionale, sebbene in forma non autonoma e sotto il controllo e la responsabilità del professionista.
In tale contesto, il compenso che il dominus eventualmente corrisponde al praticante rappresenta invero la valutazione economica dell'impegno profuso da quest'ultimo per la collaborazione allo svolgimento delle attività proprie della professione.
In tal senso, depongono le stesse norme di deontologia professionale che a proposito del trattamento economico del tirocinio espressamente prescrivono che ´ il dottore commercialista non mancherà di riconoscere al praticante un compenso proporzionato all'apporto di collaborazione ricevuto' (cfr. art. 39 del codice deontologico).
L'erogazione del compenso non avviene quindi per fini di studio o di addestramento professionale (o, almeno, esclusivamente a tali fini) e ciò risulta indirettamente comprovato dalla predetta circolare n. 68/1995 del Cndc nella quale si precisa che ´il praticante deve svolgere il tirocinio... completando la preparazione pratica con l'approfondimento culturale e, ove lo ritenga, con la frequenza, a sua cura e spese, di specifici corsi integrativi' (circ. cit., par. 1.2).
Al dominus, pertanto, non è richiesto di ´finanziare' l'eventuale frequenza da parte del praticante di specifici corsi integrativi finalizzati all'approfondimento delle nozioni necessarie all'esercizio della professione, il che equivale a dire che il compenso eventualmente ricevuto da quest'ultimo deve intendersi essenzialmente corrisposto in ragione della prestazione lavorativa da lui svolta in favore del professionista.
Sulla base dei predetti riferimenti normativi e interpretativi, si desume quindi che il rapporto di tirocinio risulta caratterizzato dallo svolgimento di un'attività: a) di natura intrinsecamente correlata a quella professionale; b) svolta senza vincolo di subordinazione a favore del dottore commercialista (cosiddetto dominus); c) nel quadro di un rapporto di collaborazione unitario nel rispetto dei requisiti di continuità e assiduità; d) senza impiego di mezzi organizzati, sotto il controllo e presso lo studio del dottore commercialista.
Trattasi, come è agevole constatare, di elementi caratterizzanti i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa (ora contratti a progetto introdotti dalla riforma Biagi [1], così come definiti fiscalmente dall'art. 50, comma 1, lett. c-bis), del Tuir [2]).
Ne discende, sotto il profilo del corrispondente trattamento previdenziale, che i medesimi compensi saranno assoggettabili alla contribuzione previdenziale di cui all'art. 2, commi da 26 a 32, della L. 8 agosto 1995, n. 335 e successive modificazioni e integrazioni [3].
Per quanto concerne, infine, l'Iva, l'inquadramento dell'attività svolta dal tirocinante tra i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa assume rilievo decisivo anche al fine di escludere l'eventuale compenso dal campo di applicazione dell'imposta sul valore aggiunto.
A tal fine, si richiama infatti quanto affermato, con circolare del 16 novembre 2000, n. 207/E (par. 1.5.5), dal soppresso dipartimento delle entrate - direzione centrale affari giuridici e contenzioso tributario, secondo cui le prestazioni dipendenti da rapporti di collaborazione coordinata e continuativa non risultano imponibili ai fini dell'Iva ´in quanto, sulla base dei principi generali in materia di imposta sul valore aggiunto, ricavabili dalla legislazione nazionale e comunitaria, un'attività di lavoro dipendente o assimilata non è idonea a incardinare il presupposto soggettivo di applicazione del tributo'; ne consegue che ´l'articolo 5 del dpr n. 633 del 26 ottobre 1972 deve essere interpretato nel senso che restano assoggettate all'imposta sul valore aggiunto le sole prestazioni di servizi inerenti ai rapporti di collaborazione coordinata e continuativa che rientrano nell'oggetto dell'attività svolta per professione abituale'.
Si precisa, infine, che, così come indicato dall'Inps nella circolare n. 9 del 2004, i contratti a progetto, anche ai fini dell'iscrizione nella gestione separata di cui alla legge 335/95 e del pagamento dei relativi contributi, devono essere connotati dei requisiti di cui all'art. 61 del dlgs 276/2003 (citato in nota n. 1).
Per una dettagliata definizione di progetto, programma o fase di esso, nonché per una precisa elencazione dei requisiti qualificanti delle collaborazioni coordinate e continuative cd. a progetto, si rinvia alla circolare n. 1 del giorno 8 gennaio 2004 del ministero del lavoro e delle politiche sociali.
[1] La nuova configurazione di dette collaborazioni è stata introdotta dal dlgs 10/9/2003 n. 276, il quale all'art. 61 co. 1 stabilisce: ´...i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, prevalentemente personale e senza vincolo di subordinazione, di cui all'art. 409, n. 3 del codice di procedura civile devono essere riconducibili a uno o più progetti specifici o programmi di lavoro o fasi di esso determinati dal committente e gestiti autonomamente dal collaboratore in funzione del risultato, nel rispetto del coordinamento con la organizzazione del committente e indipendentemente dal tempo impiegato per l'esecuzione dell'attività lavorativa'.
[2] Già art. 47, comma 1, lett. c-bis) del Tuir in vigore al 31 dicembre 2003 e modificato dal dlgs 12 dicembre 2003, n. 334.
[3] Si vedano in particolare, il dm 2 maggio 1996, n. 281; il dm 2 maggio 1996, n. 282; l'art. 1 co. 212-215 della L. 23 dicembre 1996, n. 662 (´collegato' alla legge finanziaria 1997); l'art. 59 co. 16 della L. 27 dicembre 1997, n. 449 (´collegato' alla legge finanziaria 1998); l'art. 51 della L. 23 dicembre 1999, n. 488 (legge finanziaria 2000); il dm 2 ottobre 2001; l'art. 44 co. 6 della L. 27 dicembre 2002, n. 289 (Legge Finanziaria 2003) e l'art. 45 del dl 30 settembre 2003, n. 269.