Il decreto sull'orario europeo supera l'esame del Parlamento

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Mercoledí 12 Marzo 2003
ITALIA-LAVORO |
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Il decreto sull'orario europeo supera l'esame del Parlamento |
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ROMA - Anche la commissione Lavoro della Camera dà un via libera condizionato al decreto legislativo sull'orario di lavoro. Dopo il parere del Senato, ieri Montecitorio ha esaminato il testo varato dal Governo, frutto di una direttiva Ue su cui le parti sociali non hanno raggiunto un avviso comune. Ora il decreto legislativo tornerà in Consiglio dei ministri per il sì definitivo recependo la condizione posta da tutte e due le Camere: deve essere cancellato l'articolo 18 del provvedimento. Nella norma si prevede che le clausole dei contratti collettivi in materia di orario di lavoro vigenti alla data di entrata in vigore del decreto siano valide fino alla data di scadenza dei contratti collettivi stessi. Mentre nelle ipotesi di contratti scaduti o di specifici accordi tra le parti è previsto che le predette clausole dei contratti collettivi abbiano efficacia sino al 31 dicembre 2004. Dopo questo termine, dunque, le parti sociali devono ricontrattare il capitolo relativo agli orari nel rispetto della direttiva. Su questo punto le tre confederazioni sindacali, unitariamente, avevano chiesto al Governo e poi al Parlamento un intervento abrogativo. «Violazione dell'autonomia contrattuale delle parti», questa la ragione del «no» posto dai sindacati al decreto. E nel parere della Camera sembra accolta la tesi di Cgil, Cisl e Uil. Si rileva, infatti, la necessità di sopprimere l'articolo 18 del decreto legislativo «per evitare difficoltà interpretative, tanto più che la norma potrebbe essere interpretata in senso non conforme all'esigenza di valorizzare il ruolo della autonomia contrattuale collettiva nella disciplina dei vari aspetti dell'orario di lavoro e quindi come una indebita ingerenza nella sfera dell'autonomia contrattuale». Ora l'Italia ha ancora 20 giorni per trasporre nel proprio ordinamento la direttiva europea. In caso di ritardo, Bruxelles presenterà formalmente ricorso alla Corte di giustizia Ue, chiedendo che al nostro Paese venga comminata un'ammenda pari a 238,950 euro per ogni giorno di ritardo a decorrere dalla data della seconda sentenza della Corte di Giustizia europea. |
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