18/5/2004 ore: 11:19
Il risarcimento da mobbing si fonda sul contratto di lavoro
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Il risarcimento da mobbing si fonda sul contratto di lavoro |
Infatti, qualora si tratti di azione contrattuale, la cognizione della domanda di risarcimento del danno rientrerebbe nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, purché comunque la controversia abbia per oggetto una questione relativa a un periodo antecedente al 30 giugno 1998, cioè prima della data a partire dalla quale il decreto legislativo 80/98 ha devoluto al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, tutte le controversie relative ai rapporti di lavoro alle dipendenze della pubblica amministrazione. Diversamente, qualora si tratti di azione extracontrattuale, la giurisdizione apparterrebbe al giudice ordinario. Considerata di natura contrattuale, pertanto, come stabilito nella sentenza in esame, l’azione di risarcimento del danno da mobbing nei confronti di un datore di lavoro pubblico deve essere esperita davanti al giudice amministrativo. Dopo anni di contrasto giurisprudenziale circa la natura contrattuale o extracontrattuale del risarcimento del danno da mobbing, la Corte di cassazione, quindi, condivide l’orientamento di quella parte di giurisprudenza che sostiene che il danno da mobbing abbia natura contrattuale. Molto interessante è la motivazione di questa scelta. La Suprema Corte inizialmente indaga sull’utilizzo del termine mobbing per indicare «pratiche vessatorie, poste in essere da uno o più soggetti diversi per danneggiare in modo sistematico un lavoratore nel suo ambiente di lavoro» e conclude affermando che tali comportamenti altro non sono se non violazioni di specifici obblighi contrattuali derivanti dal rapporto di lavoro, rappresentando dei tipici atti di esercizio del potere datoriale posti in essere in violazione del principio di protezione delle condizioni di lavoro oltre che della tutela della professionalità prevista dall’articolo 2103 del Codice civile. Quanto, poi, alla determinazione del momento in cui tali eventi lesivi devono considerarsi verificati, la sentenza, ricordando un precedente del 2000, precisa che se la lesione del diritto del lavoratore è prodotta da un atto (con natura di provvedimento o negoziale) deve farsi riferimento al momento della sua emanazione; altrimenti, se la pretesa deriva da un comportamento illecito permanente del datore di lavoro, si deve fare riferimento al momento di realizzazione del fatto dannoso. A tal fine, a dire della Corte, ciò che rileva nel mobbing «non è il danno, ma il rapporto eziologico tra questo e il comportamento contra ius dell’agente» indipendentemente dal fatto che tali comportamenti o i loro effetti si protraggano nel tempo. Si segnala, peraltro, che tale sentenza viene pubblicata in un periodo di grande e diffuso interesse per il fenomeno del mobbing. Basta pensare alla circolare Inail n. 71 del 17 dicembre 2003 che ha espressamente fatto rientrare nel rischio coperto dall’assicurazione tutte le situazioni di costrittività organizzativa sul lavoro (tra cui lo svuotamento di mansioni, la mancata assegnazione di strumenti di lavoro e la marginalizzazione dell’attività lavorativa). |
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