Intervista al Ministro del Lavoro spagnolo
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intervista Flavia Podestà
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Lunedì 21 Maggio 2001
Il Ministro di Aznar e lo stato sociale sostenibile
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«Lavoro, fate come in Spagna» |
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Ferrè: la concertazione viene prima di tutto |
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inviato a Cernobbio
TUTTO si può fare, ma con il consenso: dialogando con imprenditori e sindacati». Sulle sponde del lago di Como, l’inno alla concertazione non viene cantato da un seguace di Sergio Cofferati ma da Juan Carlos Aparicio Pérez, l’ingegnere chimico che José Maria Aznar ha voluto al suo fianco come ministro del Lavoro. La pace sociale ha consentito al governo di varare, nel ‘97, una riforma del mercato del lavoro e del sistema previdenziale che sono uno degli elementi del successo spagnolo di questi anni in campo economico. Che ruolo si è ritagliato il governo? «Il governo, cui spetta di coniugare gli interessi delle categorie con quelli generali della collettività, ha preso l’iniziativa, fissando obiettivi, principi, linee guida - codificate nell’accordo di Toledo del ‘96, siglato da tutti i partiti politici e condiviso dalle Trade Unions - tradottesi in legge nel ‘97. Con le parti sociali si sono discussi tempi, modalità e gradualità di applicazione della Riforma». Il risultato è che la Spagna cresce a ritmi più elevati della media dei partner europei. Oppure è il ciclo espansivo dell’economia ad aver aiutato il governo a realizzare riforme altrimenti indigeste? «Lo sviluppo economico aiuta sempre, ma non è stata la causa del successo della nostra riforma. Le ricordo, infatti, che la riforma è stata concepita e avviata nel 96-97, quando i tassi di crescita del nostro prodotto lordo non erano quelli di oggi». Quale è il tasso di flessibilità del vostro mercato del lavoro? «E’ molto rilevante. Fatti salvi i rapporti in essere e, dunque, i diritti acquisiti, le imprese spagnole possono assumere con grande libertà di contratto: non ci sono tetti né vincoli per regolare i rapporti di lavoro con contratti a termine. In concreto, poi, oltre i quattro quinti dei contratti a termine, dopo tre anni, si è trasformata in un rapporto a tempo indeterminato. Quando il rapporto, invece, viene sciolto al lavoratore spetta una indennità pari a otto giorni». Non è molto. «Però la Spagna negli ultimi cinque anni ha creato da sola la metà di tutti i nuovi posti di lavoro prodotti in Europa e la disoccupazione, che era al 24% quando Aznar prese il governo, oggi è al 13,5%. Soprattutto la disoccupazione giovanile, che era maggiore che in Italia, oggi da noi è scesa al 25% mentre da voi è ancora superiore al 30%. C’è ancora molto da fare, ma lo faremo rapidamente». Ci sono incentivi per l’assunzione dei giovani? «Ci sono incentivi di tipo contributivo: il contributo dovuto in parte è a carico delle imprese e in parte a carico dello Stato». I lavoratori a tempo indeterminato possono essere licenziati? «Sì, quando l’azienda è costretta a riorganizzarsi in conseguenza di una discontinuità tecnologica. La riforma ha ridotto l’indennità che il datore di lavoro deve dare al lavoratore da 45 a 33 giorni, che diventano 20 se il licenziamento avviene per giusta causa». Veniamo alla previdenza. Che spazio ha da voi la copertura pubblica rispetto a quella privata? «In Spagna la previdenza è pubblica: la previdenza privata è davvero solo integrativa, è una aggiunta e non una sostituzione». Quale è, allora, la scelta vincente della riforma del ‘97? «Abbiamo creato un sistema di protezione sociale sostenibile. Fatti salvi i diritti acquisiti, si è deciso di calcolare la pensione sugli ultimi 15 anni anziché, come prima, sugli ultimi 8. Inoltre non abbiamo né baby pensionati, né pensioni di anzianità. Da noi si va in pensione a 65 anni con 35 anni di contributi. Si può decidere di andare in pensione anche dai 61 anni: per ogni anno di pensionamento anticipato, però, c’è una penalizzazione dell’8%, per cui il lavoratore fa questa scelta solo per motivi molto seri». Come fate a far quadrare i conti se la previdenza è pubblica? «Intanto il periodo di contribuzione è molto lungo e poi le ricordo che, negli ultimi 5 anni, in Spagna ci sono stati 3 milioni di nuovi lavoratori».
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