18/10/2010 ore: 11:45

L’Aquila, affitti in nero nella città dei nuovi poveri

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Caterina vive in un container con due bambini, non ha diritto alla “casa di Berlusconi” perché i danni all’immobile dove abitava prima non sono gravissimi. Ha diritto invece, con i figli, a 600 euro al mese. Ma con quella cifra non si trova più nulla a L’Aquila. F. è single, gli spettano solo 200 euro. Così, da adulto, è costretto a vivere con i genitori e le sorelle. Il rebus degli affitti a L’Aquila è molto difficile da risolvere. La casa agibile è un bene scarso, ai proprietari conviene dare in locazione agli studenti, 300 al mese per la singola. C’è l’eccezione di chi si mette la mano sulla coscienza. Ma c’è anche chi dispone di un bene raro, la casa,ma non ha lavoro. Oppure, semplicemente, specula. E allora chiede un sovrapprezzo sul fitto concordato con la Protezione civile: 600 più 200 euro in nero. In attesa di poter rescindere il contratto, cosa che a dicembre avverrà per centinaia di casi. «Oggi ci sono 13.000 poveri in
più, homeless, disoccupati. E non ci sono le case popolari», spiega Stefania Pezzopane. Quello dell’edilizia pubblica è uno dei misteri gloriosi della ricostruzione che non parte: alcuni complessi sono gravemente lesionati (E). Ma altri (B e C) non si capisce perché non siano stati recuperati. «Se fossero stati fatti questi lavori, – ragiona Paolo De Santis, presidente dell’ordine degli ingegneri – ci sarebbe stata meno assistenza, un pezzo dell’economia cittadina sarebbe ripartita, ci sarebbero meno Cig». Trascorrere un pomeriggio accanto all’assessore ai servizi sociali Stefania Pezzopane, nel giorno dedicato all’ascolto dei disagi dei cittadini, schiude la porta su un mondo di drammi individuali e familiari generati dal sisma ma aggravati da una burocrazia che umilia le persone, trattate come furbetti dagli impiegati della Sge (la struttura di gestione dell’emergenza della Protezione civile). «La politica abitativa - dice l’assessore – dobbiamo riprenderla in mano noi come Comune». Indossano i loro vestiti migliori, spiegano a bassa voce i loro casi, non vogliono passare per questuanti, premettono: «Ci sono problemi più gravi del mio». Il signor G., a causa di uno sfratto esecutivo, aveva traslocato a L’Aquila da Scoppito. Il nuovo contratto, però, il 6 aprile 2009, non era ancora stato registrato. Il signor G non esiste per la burocrazia del sisma. «Ma – commenta l’assessore – Scoppito e Aquila sono nel Cratere, o qui o lì si tratta di un terremotato». L’esistenza, che prima scorreva senza bisogno di carte bollate, viene squadernata davanti ad estranei, dietro ogni passo si nasconde l’insidia della perdita di un diritto: «Mi vorrei sposare ma non posso, perché i miei genitori perderebbero il map di tre stanze dove abitiamo», spiega una ragazza. Mara e Paolo avevano aggiustato il loro non felice matrimonio grazie ad una casa spaziosa, ora sono costretti in pochi metri quadri, a una convivenza che sarebbe difficile per due innamorati. Ci sono coppie che si sono sfasciate dopo il sisma e che cercano di far valere il loro diritto a separarsi. Ci sono bambini nati dopo il terremoto. Francesca e Giuseppe vivono nel Progetto Case di Sassa mal’asilo nido è nel vecchio quartiere, al Torrione. E Francesca, che non guida, non sa come coprire tutti quei chilometri. Si sono rivolti alla commissione speciale, che esamina i casi sanitari, sperando in un avvicinamento. «Costretti a inventarsi malattie dei figli, quando si tratta di problemi normali di cui è giusto farsi carico», commenta l’assessore. Il signor Renato subisce l’ostracismo burocratico perché ha cattivo carattere e, soprattutto, una moglie straniera. Fa l’ambulante e ogni giorno carica a Giulianova moglie e figlia sul furgoncino. La bambina, 13 anni, è molto brava a scuola ma deve alzarsi ogni giorno all’alba e
aspettare, al ritorno, che il papà abbia finito la mercanzia. Non hanno ancora ottenuto l’assegnazione di una casa anche a causa dell’origine della signora Cristina. «Non è a posto
con la legge 30 (la Bossi-Fini, ndr)», dice freddamente una funzionaria. Sono sposati da 15 anni ma all’incartamento manca una vecchia comunicazione alla Questura. Sara è romana ed era minorenne quando è rimasta incinta. Ora vive dai “suoceri” con il suo ragazzo, la bambina, fratelli e sorelle di lui. Tecnicamente, lei e la piccola, sono clandestine. Ma che fare? Non vuole sposarsi a 18 anni per legalizzare la propria esistenza? Paola ha 35 anni, Antonella 40, Lorella 35. Hanno perso il lavoro e non ne trovano un altro. Sabrina faceva la badante e il suo anziano è morto. Ora non ha lavoro e non ha neanche diritto all’alloggio. «Nel gennaio scorso – ricorda Stefania Pezzopane – il presidente Berlusconi promise che avremmo affrontato il “terremoto” sociale. Stiamo ancora aspettando». Intanto, molti gettano la spugna: nelle scuole mancano all’appello 850 ragazzini dall’asilo all’obbligo, sono mille di meno, se si contano le superiori. Significa che mille famiglie giovani si sono allontanate alla città.