16/1/2003 ore: 10:52

La bomba a tempo di Bertinotti - di M.Giannini

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Pagina 9 - Economia
 
 
IL RETROSCENA
La bomba a tempo di Bertinotti
Fausto il rosso allo scontro con la sinistra riformista


          MASSIMO GIANNINI

          IL CANNIBALISMO masochistico dell´opposizione non sembra mai sazio. Non è bastato lo sconfortante faccia a faccia televisivo di mercoledì sera a «Ballarò», a rappresentare in modo quasi drammatico la rancorosa inimicizia politica che avvelena i rapporti tra le «due sinistre», quella di D´Alema e quella di Cofferati.

          Grazie alla sedicente "terza sinistra", quella di Bertinotti, adesso si riapre anche la ferita dell´articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, che persino Berlusconi aveva ormai cauterizzato, depennando il tema dall´agenda delle "priorità di governo". Il via libera al referendum di Rifondazione, che mira ad estendere anche alle imprese con meno di 15 dipendenti l´obbligo del reintegro del dipendente licenziato senza giusta causa, può diventare una maledizione per l´Ulivo. Ma paradossalmente può trasformarsi anche in un´opportunità.
          Quando Bertinotti annunciò l´iniziativa, pochi si resero conto che quel referendum era una perfida "bomba a orologeria". Più che per fare un danno al centrodestra, Fausto il Rosso sembrava averla innescata dentro il corpaccione del centrosinistra, scosso dalla fresca sconfitta elettorale del 13 maggio 2001 e stordito dall´asse di ferro governo-Confindustria che poi avrebbe portato al Patto per l´Italia del 5 luglio 2002. Ma allora nessuno ci fece troppo caso. Il Paese era paralizzato dalla battaglia ideologica avviata dal Cavaliere sulla "flessibilità in uscita". Oggi la bomba a orologeria esplode.
          E se ne percepisce tutto il potenziale negativo, per le stesse truppe in nome delle quali è stata usata. Per il centrosinistra sarebbe stato molto meglio se la Corte costituzionale avesse ritenuto inammissibile il quesito. Ma solo un folle, oggi, può gettare la croce addosso alla Consulta. I giudici di legittimità usano la Carta fondamentale e i codici, non i tarocchi della politica. Decidono in base al diritto e ai precedenti della giurisprudenza costituzionale, non secondo i vantaggi o gli svantaggi di partito. Anche stavolta è stato così. Tra l´altro, con una valutazione pressoché unanime tra i magistrati. L´ironia della sorte vuole che sull´articolo 18 si riaccenda una contesa nel centrosinistra, proprio nel momento in cui il centrodestra aveva ammainato questa bandiera assurda, che ha inutilmente "bruciato" un anno di legislatura.

          La perdita strutturale di competitività del sistema produttivo aveva drasticamente costretto D´Amato a ridimensionare le sue pretese. A scegliere un altro profilo, possibilmente più equilibrato e apolitico, rispetto all´espediente tardo-corporativo del collateralismo becero. Ora, deflagrato l´ordigno di Rifondazione, le parti si invertono di nuovo. La maggioranza ritrova smalto e rilancia strumentalmente la questione dell´articolo 18, se non altro per ripetere che sulle riforme la sinistra gioca una partita tutta difensiva contro i veri interessi del Paese. L´opposizione arretra impacciata, subisce la nuova incursione di Bertinotti e patisce l´ennesima, autolesionistica spaccatura. Il leader di Rifondazione invita provocatoriamente l´Ulivo a una campagna comune. Rutelli attacca il referendum di Rifondazione, e approfitta dell´inasprimento dei rapporti a sinistra per rivendicare l´insostituibilità del centro. I comunisti attaccano la Margherita, e la stessa cosa fa la sinistra della Quercia guidata da Salvi, che rinfocola l´eterna diaspora del correntone dentro i Ds. La Cgil sbanda, Epifani media ma la minoranza interna inocula altri virus di radicalismo nella confederazione, rendendo ancora più tossiche le relazioni con Cisl e Uil e assestando il colpo di grazia alla moribonda unità sindacale.
          E´ solo l´inizio di una conflittualità che potrebbe estendersi. Ma l´effetto-domino si può evitare. Ripartendo dal merito. Bertinotti si è infilato in una sottile contraddizione del ragionamento con il quale Cofferati ha nobilmente difeso per lunghi mesi l´articolo 18. E´ un "diritto di civiltà", ha detto più volte l´ex leader della Cgil. Se lo è davvero, ha un valore assoluto. Per certi versi costitutivo di ogni individuo libero. Allora non solo non va cancellato nelle imprese con più di 15 dipendenti, ma al contrario va introdotto anche in quelle che ne hanno meno di 15. Il discorso non fa una piega, sul piano della coerenza logica. Oggi lo usa persino il sottosegretario Sacconi, per dimostrare con gli stessi argomenti (ma capovolti) che se adesso il centrosinistra dice no al quesito proposto da Rifondazione conferma implicitamente che l´articolo 18 non era e non è un "diritto di civiltà", ma una semplice "forma di tutela". Dunque non intangibile, e assolutamente modificabile. In tutti e due i casi, la coerenza logica tradisce un´intenzione ideologica.
          A Bertinotti si potrebbe rispondere che il reintegro nel posto di lavoro, in caso di licenziamento ingiustificato, è un diritto che la legislazione tutela effettivamente dal 1970, ma in modo specifico e non "universale": se così fosse, l´articolo 18 dovrebbe stare in Costituzione, non in una legge ordinaria. E´ dunque un diritto che (come fa spesso anche in campi molto diversi) il legislatore ha voluto "bilanciare", in confronto e in competizione con altri diritti. Per questo non lo ha previsto nelle micro-imprese: sarebbe stato un vincolo giuridico troppo oneroso, rispetto al quale ha fatto prevalere il diritto di iniziativa economica dell´imprenditore. Si può obiettare che in questo Welfare iniquo e sgangherato i dipendenti delle micro-imprese sono privi di qualunque garanzia, e questa drammatica verità impone una profonda riforma degli ammortizzatori sociali che né l´Ulivo né tanto meno il Polo sono capaci di immaginare. Ma quello che non si può fare è equiparare a tutti gli effetti i lavoratori para-subordinati e i collaboratori coordinati e continuativi ai lavoratori dipendenti è un non senso. Questa è ideologia.
          A Sacconi (e quindi a Berlusconi) si potrebbe invece rispondere che quello che il legislatore ha voluto tutelare con l´articolo 18 è stato proprio il diritto del dipendente licenziato ingiustamente a rientrare nel suo posto di lavoro. Non un diritto a "scambiare" il lavoro che gli è stato tolto senza giusta causa con un risarcimento economico. Si può sostenere (come fa il governo, e al contrario di Cofferati) che il secondo sia "civile" quanto il primo. Ma quello che non si può dire è che questi due diritti sono equivalenti. E soprattutto, quello che non si può dire è che facendo prevalere il secondo sul primo si aumenta l´occupazione. Anche questa è ideologia.
          Se il centrosinistra trovasse un po´ di lucidità e di buon senso, non dovrebbe risultargli difficile un no sereno e convinto a questo referendum. Senza lacerazioni drammatiche, potrebbe trasformare il maleficio dell´articolo 18 addirittura in un beneficio. Come dimostrano proprio le prime reazioni alla decisione della Consulta, è possibile recuperare le categorie tradizionali della competizione a sinistra: il riformismo contro il massimalismo. La terza sinistra di Bertinotti, alla prova dei fatti, è una finzione politica. Una forzatura tattica che il leader di Rifondazione sta tentando, per ritagliarsi un suo spazio autonomista. Le sinistre, da sempre, sono sempre due. C´è quella moderata che ha l´ambizione del governo, responsabile e maggioritaria. E c´è quella radicale che ha il culto dell´alterità, irriducibile e minoritaria. Oggi, sull´articolo 18, D´Alema e Cofferati, Fassino e Boselli, stanno naturalmente nella prima, e al fianco di Rutelli. Nella seconda rimangono solo Bertinotti, Pecoraro Scanio e forse una costola dei Ds. Estendere l´esperimento a tutti gli altri fronti aperti della politica, dalla guerra alle riforme istituzionali, non dovrebbe essere un compito così proibitivo. Basterebbe pensare un po´ di più ai problemi irrisolti del Paese. Un po´ meno ai vecchi rancori tra le persone e ai nuovi antagonismi tra le nomenklature.

 

 
 

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