La coop si vede dai «ristorni»

30 ottobre 2002
NORME E TRIBUTI DIRITTO SOCIETARIO
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1- La coop si vede dai «ristorni» 2- Più trasparenza per i soci
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La coop si vede dai «ristorni»
 Con lo schema di decreto legislativo di riforma debuttano nella disciplina civilistica le somme, gli apporti o gli sconti attribuiti
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Le regole per la costituzione delle cooperative, contenute nel nuovo articolo 2521 del Codice civile, sono comuni sia alle coop a mutualità prevalente sia a quelle ordinarie. Scopo mutualistico. Il principale elemento che differenzia le coop dalle società commerciali è lo scopo mutualistico, che deve emergere innanzitutto alla costituzione. Il legislatore non fornisce definizioni del principio mutualistico. L’articolo 45 della Costituzione stabilisce che la Repubblica riconosce la funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualità e senza fini di speculazione privata. Questo significa che per il socio non deve esserci intento speculativo nel rapporto cooperativistico, mentre la coop nella sua attività esterna può e deve tendere a conseguire i massimi risultati, anche al fine di poter continuare a svolgere la sua funzione sociale. Pertanto lo scopo mutualistico si realizza nei rapporti interni con i soci e questa circostanza viene accentuata dalla riforma. Confrontando il testo riformato con le disposizioni attuali, si nota che l’atto costitutivo dovrà indicare specificamente l’oggetto sociale con riferimento a requisiti e interessi dei soci; il numero 9 del nuovo articolo 2521 richiede l’indicazione delle regole per la distribuzione degli utili e i criteri per la ripartizione dei ristorni. Da queste disposizioni esce un soggetto giuridico più trasparente: alla cooperativa non potrà partecipare il socio che non ha interessi legati all’oggetto sociale. Se ad esempio è una cooperativa di lavoro, un socio non lavoratore non potrà farne parte, tranne i soci finanziatori e sottoscrittori di titoli di debito ai sensi dell’articolo 2526. I ristorni. Debuttano nella disciplina civilistica i ristorni (essenza del rapporto cooperativistico), ovvero le somme che la cooperativa attribuisce ai soci a titolo di maggior remunerazione delle prestazioni o degli apporti ovvero di minor prezzo per le acquisizioni. Occorrerà quindi indicare nell’atto costitutivo i criteri di imputazione dei ristorni ai soci e cioè il riferimento, ad esempio alla quantità del lavoro prestato o agli apporti eseguiti, ai corrispettivi pagati per i beni acquistati presso la coop e così via. La norma non pone limiti quantitativi ai ristorni; la remunerazione dei conferimenti potrà quindi essere di qualsiasi importo, come pure lo sconto per gli acquisti eseguiti presso la coop. Il ristorno rappresenta una modalità di ripartizione dell’utile ed è riferito alle transazioni economiche intercorse con i soci, mentre il dividendo è rapportato soltanto al capitale conferito ed è soggetto a limitazioni per le coop a mutualità prevalente. I regolamenti. I rapporti tra socio e coop sono generalmente codificati dai regolamenti, la cui redazione non è obbligatoria. Quando essi vengono adottati devono essere approvati dai soci con le maggioranze previste per le assemblee straordinarie. Quote e azioni. Resta invariato il numero minimo dei soci delle coop (nove) e resta la piccola cooperativa con almeno tre soci persone fisiche, che deve adottare le norme della Srl. Le cooperative rimangono società a capitale variabile. Il capitale sociale non è determinato in un ammontare prestabilito e l’ammissione di nuovi soci non comporta la modificazione dell’atto costitutivo. Il nuovo articolo 2524 consente alle coop di deliberare aumenti di capitale ai sensi degli articoli 2438 e seguenti, ad esempio mediante conferimento di beni in natura, previa relazione giurata di stima. L’assemblea può autorizzare l’esclusione o la limitazione del diritto di opzione. Il valore nominale di ciascuna quota non può essere inferiore a 25 euro, mentre quello di un’azione non può superare 500 euro (importi analoghi a quelli vigenti). Nessun socio può avere una quota superiore a 80mila euro. Tale limite è attualmente previsto in circa la metà (80 milioni di lire) elevato al valore corrispondente a 120 milioni di lire per le coop agricole e di lavoro (articolo 3 della legge 59/92); questi importi sono inoltre soggetti ad adeguamento (Dm 12 febbraio 1996). A nostro parere la nuova norma civilistica abroga implicitamente le precedenti disposizioni di contenuto analogo e pertanto non dovrebbe esserci distinzione tra categorie di cooperative. Il limite di 80mila euro non vale in caso di conferimento di beni in natura o di crediti, ai soci diversi dalle persone fisiche e ai sottoscrittori di strumenti finanziari.
GIAN PAOLO TOSONI I SOCI
Più trasparenza per i soci
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Nelle società cooperative, le disposizioni sull'ammissione e l'uscita dei soci evidenziano le rinnovate caratteristiche che il legislatore intende imprimere allo svolgimento dell'attività imprenditoriale con le forme della società a carattere mutualistico. Queste caratteristiche sono, in sintesi: -il generale principio di parità di trattamento «nella costituzione e nell'esecuzione» dei rapporti mutualistici (articolo 2516); -la possibilità di optare, nelle coop di minori dimensioni, per l'applicazione, in luogo di quella della Spa, della normativa delle Srl, ispirata al conferimento di un ruolo di maggior peso per la "persona" del socio (articolo 2519, comma 2); -i principi della "porta aperta", della "non discriminazione" e della motivazione delle scelte compiute sull'ammissione e la fuoriuscita dei soci. La porta aperta. La nuova normativa non crea un incondizionato diritto soggettivo degli "estranei" a essere ammessi nella base sociale cooperativa, ma crea comunque: 1-il diritto soggettivo dell'estraneo a vedersi motivare il rigetto da parte dell'organo amministrativo; 2-il diritto soggettivo dell'estraneo a pretendere un riesame della decisione di rigetto adottata dall'organo amministrativo; 3-il dovere degli amministratori di adottare le decisioni di ammissione secondo criteri «non discriminatori», coerenti con lo scopo mutualistico e l'attività economica svolta dalla società; 4-il dovere degli amministratori di riferire nella relazione al bilancio dei criteri usati nel decidere l'ammissione di nuovi soci. In sostanza, se non vi è dunque un diritto soggettivo all'ammissione "a tutti i costi", vi è comunque da parte dell'estraneo un qualificato interesse all'adozione di un diniego motivato per la sua domanda di ammissione e quindi un diritto soggettivo all'ammissione condizionato alla rispondenza del richiedente stesso alle caratteristiche che lo statuto della cooperativa (in base alla sua attività, ai suoi scopi, al suo assetto, alle sue peculiarità) definisce per accogliere nuovi soci, senza discriminazioni e senza immotivati rifiuti. Resta comunque fermo che non possono in ogni caso divenire soci «quanti esercitano in proprio imprese identiche o affini con quella della cooperativa» (articolo 2527, comma 2). Trasferimento delle partecipazioni. Quanto detto ha la sua interfaccia nella disciplina della cessione delle partecipazioni al capitale della coop: infatti, sempre che lo statuto consenta la cessione (in caso contrario è infatti dato al socio il diritto di recesso dopo due anni dal suo ingresso in società), il trasferimento deve essere autorizzato dagli amministratori e, in caso di diniego, il socio deve essere informato delle relative motivazioni al fine di un suo possibile reclamo. Recesso ed esclusione. La nuova disciplina lascia molto spazio agli statuti in questa materia, poiché, accanto alla previsione dei casi in cui la fuoriuscita del socio può avvenire ex lege, consente un'ampia esplicazione dell'autonomia delle singole società. Ai «criteri stabiliti nell'atto costitutivo» è demandata anche la materia della liquidazione della partecipazione del socio uscente, che comunque: - deve avvenire sulla base del bilancio dell'esercizio in cui s'è verificato lo scioglimento del rapporto sociale del socio uscente; - deve tener conto delle perdite imputabili al capitale; - deve comprendere anche il rimborso del sovrapprezzo che eventualmente sia stato versato, sempre che esso sussista nel patrimonio della società e non sia stato destinato ad aumento gratuito del capitale. La morte del socio. In caso di morte del socio, gli eredi hanno diritto alla liquidazione della partecipazione del defunto, a meno che lo statuto preveda che gli eredi provvisti dei requisiti per l'ammissione alla società subentrino nella partecipazione del socio deceduto (qui, in caso di pluralità di eredi, occorre la nomina di un rappresentante comune, salvo che la quota sia divisibile e la società consenta la divisione). Angelo Busani
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