23/9/2002 ore: 9:24

La Debolezza del Cavaliere - di Massimo Giannini

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LUNEDÌ, 23 SETTEMBRE 2002
 
La Debolezza del Cavaliere
Prima Pagina e Pagina 18 - Cronaca
 
E BERLUSCONI TRADISCE LA SUA DEBOLEZZA
 
MASSIMO GIANNINI

BERLUSCONI chiede aiuto all´opposizione. O siamo su «Scherzi a parte», o è accaduto un miracolo del quale nessuno si è accorto. Allo stato dei fatti, e alla luce delle ultime dichiarazioni del portavoce del premier, delle due ipotesi sembra più vera la prima. E fa bene Fassino, che non la beve. Detto questo, la mossa del Cavaliere contiene un doppio segnale, che sarebbe sbagliato non cogliere.
1) Dopo un anno e mezzo di collateralismo con l´intero mondo dell´industria e di corporativismo con un solo pezzo di sindacato, per la prima volta il premier tradisce il «blocco sociale» su cui ha costruito il suo progetto di governo.
Con il discorso pronunciato a Palermo, Berlusconi seppellisce nei fatti il Patto per l´Italia, firmato in pompa magna il 5 luglio. L´idea implicita in quell´accordo era semplice. Il governo ha una maggioranza schiacciante, non ha bisogno di supporti interni in Parlamento. All´esterno, nel Paese, ha bisogno soltanto del sostegno di Confindustria, alla quale promette sgravi fiscali e flessibilità totale, e di Cisl e Uil, cioè quella parte di sindacato che soffre l´egemonia della Cgil e si accontenta per sopravvivere di un ruolo da patronato para-statale. Saldati questi due interessi convergenti grazie a un patto modesto e strumentale (con il risultato connesso e prezioso di mettere all´angolo l´ultima opposizione rimasta, quella sociale di Cofferati), il resto sarebbe venuto da sé. Un ciclo sostenuto, arricchimento diffuso, meno tasse per tutti. Oggi il quadro è completamente saltato. La coperta del Cavaliere è davvero troppo corta. Lo costringe a rompere con D´Amato, ripetendo alla lettera le parole che, prima di lui pronunciarono a turno, da Palazzo Chigi, Prodi e D´Alema: «D´Amato si lamenta? Ma lui è il presidente degli industriali e tutela gli interessi di una sola parte, io sono il presidente del Consiglio di tutto il Paese e devo tutelare l´interesse generale». Lo costringe a disilludere Pezzotta e Angeletti, ai quali non può offrire più nulla, se non una manciata di sconti sui redditi bassi che già erano previsti nel Dpef di Amato. Persi per strada i due pilastri «sociali» sui quali si era appoggiato finora Berlusconi, come un vecchio democristiano, è costretto a rifugiarsi nella politica.
2) Dopo un anno e mezzo di aggressione verbale e politica, per la prima volta il premier chiede dunque una mano all´opposizione. La stagione dell´autosufficienza, sorda e arrogante, sembra agli sgoccioli. Il governo durerà fino alla fine della legislatura, e su questo l´Ulivo fa bene a non nutrire l´illusione nefasta di chissà quale «spallata». Ma forse il Cavaliere capisce che non può riempire di conflitti sistematici i quasi quattro anni che mancano alle prossime elezioni. Che il buonsenso suggerisse una strategia diversa era chiaro fin dal 13 maggio del 2001, almeno per i vertici istituzionali e per l´ala più moderata della Casa delle Libertà. Solo Berlusconi poteva illudersi di spianare con la schiacciasassi semi-plebiscitaria gli ostacoli politici e finanziari di un Paese ancora in piena transizione, e di trasformare il Parlamento in un consiglio d´amministrazione chiamato per pura routine a ratificare le decisioni già prese dal partito-azienda. Oggi è proprio l´asperità di quegli ostacoli che lo obbliga a un´apparente retromarcia. L´economia va male. La coalizione è meno coesa di quanto lasciasse pensare lo strapotere assoluto di Forza Italia, in termini di flussi elettorali. Dall´immigrazione al federalismo, il «prezzo» che l´alleanza sta pagando a Bossi cresce di giorno in giorno. La dura invettiva di Casini, che da Crotone ricorda al «garante» della Lega Tremonti l´altissimo costo della riforma federale, «che distoglie risorse da altri obiettivi», va letta in questa chiave.
In queste condizioni, cercare una sponda nell´opposizione equivale ad ammettere una debolezza. Ma dietro si nasconde anche un tranello. Il Cavaliere sembra volersi precostituire il terreno per dire agli italiani: se ho fallito, se non vi ho ridotto le tasse e non vi ho fatti tutti più ricchi come vi avevo promesso, la colpa non è stata mia ma dei «signori della sinistra». In fondo è la stessa pratica del '94, bugiarda e autoassolutoria: «Non mi hanno fatto governare». La risposta che arriva da Modena è consequenziale. Fassino non sbaglia a rispedire al mittente l´invito al dialogo. Se la maggioranza vuole davvero ricreare uno spirito bipartisan, si assuma l´onere della prova: faccia retromarcia sulla Cirami, sul conflitto di interessi, sull´articolo 18, sulla Rai. Le condizioni «minime» pretese dal leader dei Ds sono coerenti e legittime. Ma la replica immediata di Bonaiuti dimostra fin da ora quanto sia impraticabile il sentiero del dialogo. Berlusconi non rinuncerà mai a tutelare il suo «core business» sul fronte delle televisioni, né a difendere gli interessi dei suoi colonnelli sul fronte della giustizia. E probabilmente si illude anche chi pensa alla sua uscita palermitana come a un messaggio cifrato alle frange più «trattativiste» dell´opposizione: buttato alle ortiche il «patto per l´Italia», perché non tentare un nuovo «patto della crostata»? Anche su questo, la risposta di Fassino sembra inequivoca: il bipolarismo è un patrimonio acquisito, e il tempo degli inciuci è veramente scaduto.
Ma se nel centrosinistra ci fosse davvero chi spera in un´altra Bicamerale per fare le riforme costituzionali, anche in questo caso converrebbe riflettere sul rischio dell´ennesimo tranello. Se davvero, stretto com´è tra la crisi economica e il dissenso sociale, Berlusconi forzerà con il presidenzialismo e con l´elezione diretta del Capo dello Stato, lo farà con un obiettivo preciso: evitare il triplo, insidiosissimo test delle prossime tornate (amministrative, europee e regionali) per puntare direttamente alle elezioni anticipate con il nuovo sistema. Lui al Quirinale con i poteri di Bush, un suo delfino a far finta di guidare il Polo e il governo. Alla faccia di Ciampi, e del «dialogo con l´opposizione».
 


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