23/9/2002 ore: 9:24
La Debolezza del Cavaliere - di Massimo Giannini
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LUNEDÌ, 23 SETTEMBRE 2002 |
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E BERLUSCONI TRADISCE LA SUA DEBOLEZZA | |
MASSIMO GIANNINI
2) Dopo un anno e mezzo di aggressione verbale e politica, per la prima volta il premier chiede dunque una mano all´opposizione. La stagione dell´autosufficienza, sorda e arrogante, sembra agli sgoccioli. Il governo durerà fino alla fine della legislatura, e su questo l´Ulivo fa bene a non nutrire l´illusione nefasta di chissà quale «spallata». Ma forse il Cavaliere capisce che non può riempire di conflitti sistematici i quasi quattro anni che mancano alle prossime elezioni. Che il buonsenso suggerisse una strategia diversa era chiaro fin dal 13 maggio del 2001, almeno per i vertici istituzionali e per l´ala più moderata della Casa delle Libertà. Solo Berlusconi poteva illudersi di spianare con la schiacciasassi semi-plebiscitaria gli ostacoli politici e finanziari di un Paese ancora in piena transizione, e di trasformare il Parlamento in un consiglio d´amministrazione chiamato per pura routine a ratificare le decisioni già prese dal partito-azienda. Oggi è proprio l´asperità di quegli ostacoli che lo obbliga a un´apparente retromarcia. L´economia va male. La coalizione è meno coesa di quanto lasciasse pensare lo strapotere assoluto di Forza Italia, in termini di flussi elettorali. Dall´immigrazione al federalismo, il «prezzo» che l´alleanza sta pagando a Bossi cresce di giorno in giorno. La dura invettiva di Casini, che da Crotone ricorda al «garante» della Lega Tremonti l´altissimo costo della riforma federale, «che distoglie risorse da altri obiettivi», va letta in questa chiave. In queste condizioni, cercare una sponda nell´opposizione equivale ad ammettere una debolezza. Ma dietro si nasconde anche un tranello. Il Cavaliere sembra volersi precostituire il terreno per dire agli italiani: se ho fallito, se non vi ho ridotto le tasse e non vi ho fatti tutti più ricchi come vi avevo promesso, la colpa non è stata mia ma dei «signori della sinistra». In fondo è la stessa pratica del '94, bugiarda e autoassolutoria: «Non mi hanno fatto governare». La risposta che arriva da Modena è consequenziale. Fassino non sbaglia a rispedire al mittente l´invito al dialogo. Se la maggioranza vuole davvero ricreare uno spirito bipartisan, si assuma l´onere della prova: faccia retromarcia sulla Cirami, sul conflitto di interessi, sull´articolo 18, sulla Rai. Le condizioni «minime» pretese dal leader dei Ds sono coerenti e legittime. Ma la replica immediata di Bonaiuti dimostra fin da ora quanto sia impraticabile il sentiero del dialogo. Berlusconi non rinuncerà mai a tutelare il suo «core business» sul fronte delle televisioni, né a difendere gli interessi dei suoi colonnelli sul fronte della giustizia. E probabilmente si illude anche chi pensa alla sua uscita palermitana come a un messaggio cifrato alle frange più «trattativiste» dell´opposizione: buttato alle ortiche il «patto per l´Italia», perché non tentare un nuovo «patto della crostata»? Anche su questo, la risposta di Fassino sembra inequivoca: il bipolarismo è un patrimonio acquisito, e il tempo degli inciuci è veramente scaduto. Ma se nel centrosinistra ci fosse davvero chi spera in un´altra Bicamerale per fare le riforme costituzionali, anche in questo caso converrebbe riflettere sul rischio dell´ennesimo tranello. Se davvero, stretto com´è tra la crisi economica e il dissenso sociale, Berlusconi forzerà con il presidenzialismo e con l´elezione diretta del Capo dello Stato, lo farà con un obiettivo preciso: evitare il triplo, insidiosissimo test delle prossime tornate (amministrative, europee e regionali) per puntare direttamente alle elezioni anticipate con il nuovo sistema. Lui al Quirinale con i poteri di Bush, un suo delfino a far finta di guidare il Polo e il governo. Alla faccia di Ciampi, e del «dialogo con l´opposizione». | |