7/3/2002 ore: 9:13

La difficile vita del sindacalista Uil

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La difficile vita del sindacalista Uil
Stretti tra Berlusconi e Ds, spaventati dal protagonismo Cgil, aggrappati all'identità d'organizzazione
EZIO VALLAROLO - TORINO

Ma il delegato, il militante, della Uil è di centrodestra o ulivista? Al momento del voto, si riconosce in Berlusconi oppure va in sollucchero per le prese di posizione di Fassino e Rutelli? Domande a cui è difficile dare una risposta univoca, anche mescolandosi alla folla dei partecipanti al XIII Congresso in svolgimento al Lingotto di Torino.
La sensazione, a guardare le facce - l'età media non è proprio verdissima e lo stile è molto anni `80 con un evidente preponderanza di giacca e cravatta "pubblico impiego" nel vestiario -, a sentire i commenti ai vari interventi e il tono delle conversazioni informali nei corridoi del Lingotto, è che l'argomento politica, inteso come schieramento partitico, non entusiasmi i delegati della Uil.
Prevalgono largamente le tematiche sindacali, lo scontro con il governo, esplicito sull'Art. 18, e quello più sotterraneo ma altrettanto sentito con la Cgil. Ma è proprio nell'analisi di questa dicotomia, di questa doppia critica che è forse possibile azzardare una lettura dell'appartenenza, più o meno partitica, del militante Uil. Finiti i tempi d'oro della scelta socialista "craxiana", passata la bufera di mani pulite, il "sindacato dei cittadini" si è ritrovato, all'inizio del nuovo secolo, a guardarsi allo specchio e scoprirsi in preda a una doppia identità. Angeletti e i vertici nazionali della Uil questo lo sanno bene e non hanno mancato di sottolinearlo introducendo quel "Cari delegati" in apertura di congresso in sostituzione di "Cari compagni" riservato in tono polemico solo ai colleghi della Cgil.
Sì, perché all'interno della Uil sembrano convivere, in numero parrebbe quasi paritario, sindacalisti affascinanti, o alfine convinti, dal nuovo corso Ds, alla deriva verso i lidi del riformismo moderato, e adepti del verbo berlusconiano, passati già da alcuni anni nelle fila del centrodestra come in un riflesso condizionato dalla vecchia militanza "anticomunista". Il tutto, però, non pare deflagrare in un conflitto interno lacerante e rischioso. Anche tra i più radicali, come ad esempio alcuni settori dei metalmeccanici e del commercio soprattutto nel nord, prevale in maniera chiara lo spirito di appartenenza sindacale e l'ostilità verso qualsiasi "strappo" che possa prefigurare una crisi d'identità e l'esistenza stessa della casa madre. Ecco spiegati, allora, i fischi quasi compatti riservati a Roberto Maroni l'altro ieri; la freddezza, mista ad applausi e fischi, ostentata nei confronti di Sergio Cofferati; il fastidio malcelato per alcuni aspetti dell'agire della Cisl di Savino Pezzotta. Perché, all'interno dell'apparato Uil, si capisce benissimo la posta in gioco: la sopravvivenza di un sindacato "di centro" nel modo di rapportarsi con le controparti. "Noi non possiamo non sederci al tavolo con il governo - si lascia sfuggire un delegato proveniente dal mezzogiorno - perché non siamo in grado, come fa la Cgil, di indire uno sciopero generale da soli. La nostra ragione sociale risiede dalla contrattazione, nell'ottenere il massimo dei risultati dalla trattativa".
Sull'altro piatto della bilancia è però concreta la paura di perdere, dopo una stagione di sostanziale tenuta, iscritti verso la Cgil, soprattutto al nord, sulla scia dello sciopero generale. Anche in questo caso, la politica e i partiti vengono vissuti in modo dinamico. Proprio a Torino si sono verificati i casi più clamorosi, e anche contrastati, di "entrismo" di iscritti Uil all'interno dei Ds al fine di condizionarne la discussione durante l'ultimo congresso. Polemiche a non finire seguirono l'iscrizione di 130 membri della Uil presso la "mitica" Unione Industria della Quercia torinese, una scelta fatta apposta per bilanciare il peso, in quella sede, dei diessini legati alla Cgil. Un'operazione riuscita, visto che alla fine a spuntarla, in quella circostanza, fu proprio la mozione Fassino.
Come ha detto Luigi Angeletti nella sua relazione introduttiva "la Uil non è della politica ma è nella politica". Quella degli altri.



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