Martedì 5 Dicembre 2000 finanza & mercati Colpo d’ala del gruppo fiorentino che strappa l’estroso stilista inglese agli agguerriti concorrenti della Givenchy. La Gucci in joint con McQueen. Nei piani della nuova società investimenti per produrre in Italia e aprire negozi in tutto il mondo MILANO Dopo Yves Saint Laurent, Sergio Rossi e Boucheron, Gucci si "aggiudica" anche il talento per eccellenza della moda mondiale: Alexander McQueen. L’estroso stilista scozzese (ma cresciuto a Londra), classe ’70, dal ’97 direttore creativo della collezione Givenchy, entra al 49% in una joint venture con la public company fiorentina, che deterrà il 51%, per sviluppare il proprio marchio. Con «la massima indipendenza creativa», spiega l’amministratore delegato Domenico De Sole da New York, cioè senza la supervisione del potente Tom Ford. Ma c’è di più: Givenchy è uno dei brand di punta della Lvmh, il colosso del lusso guidato da Bernard Arnault, socio al 20,6% della Gucci ma ormai in guerra totale con il gruppo italiano. McQueen lascerà l’incarico in Givenchy dall’ottobre 2001 (in pratica, con i tempi della moda, tra poco più di una stagione), quando decorrerà l’esclusiva con il gruppo Gucci.
«Non ho idea del motivo per il quale Lvmh non abbia "blindato" McQueen e comunque questo accordo non ha nulla a che vedere con l’atteggiamento anticompetitivo messo in atto dai francesi contro di noi», aggiunge l’a.d. della Gucci riferendosi alle accuse di Arnault sulla presunta maxi-elargizione di stock option fatta dal socio Ppr a favore di De Sole e Ford (si veda «Il Sole-24 Ore» del 27 e 28 novembre), sulle quali sono scattate reciproche denunce alla magistratura. «Sono accuse infondate e orribili — dice ancora De Sole — e in ogni caso McQueen mi è stato presentato da Ford diversi mesi fa, con l’intenzione di arrivare al closing in dicembre: nelle nostre strategie ci sono infatti anche le alleanze con giovani stilisti e McQueen è uno dei più bravi».
A proposito di investimento, nessun dettaglio finanziario è stato diffuso sull’operazione. «L’impatto dell’accordo sull’utile per azione attuale e nel breve termine non è significativo», spiega De Sole (la previsione è fissata per quest’anno a 3,10 dollari per azione). Quando nel luglio ’99 Hermès ha rilevato il 35% della maison Jean-Paul Gaultier, ad esempio, ha sborsato 150 milioni di franchi, circa 45 miliardi di lire. Calcolando cioè il valore dell’azienda dello stilista cinque volte il fatturato. Un "multiplo" comune per il settore: Hsbc lo utilizza ad esempio per stimare in 1,66 milioni di euro l’Ebit per il 2000 della divisione couture della Christian Dior, pure controllata da Arnault.
Ma quali sono i programmi sul marchio McQueen? «Nel business plan — risponde De Sole — prevediamo lo sviluppo in tutti i segmenti: dall’haute couture al prêt-à-porter di lusso passando per gli accessori. Già oggi la produzione è concentrata in Italia, dove prevediamo di rimanere. Inoltre saranno aperti nuovi negozi (oggi ce n’è uno a Londra, Ndr) e sviluppata la rete distributiva in tutto il mondo».
Nel futuro di McQueen — la cui ultima sfilata durante la London Fashion Week è stata definita «sublime» dagli esperti — il gruppo della "doppia G" potrebbe rivelarsi ancora più importante: pochi giorni fa Milan Vukmirovic, nominato design director delle collezioni Gucci uomo e donna sotto la supervisione di Tom Ford, ora concentrato soprattutto su Yves Saint Laurent, è diventato direttore creativo della Jil Sander, l’azienda di Amburgo controllata da Prada Holding. «Facciamo i migliori auguri a Vukmirovic — conclude De Sole — e lo abbiamo sostituito tramite nomine interne che non abbiamo comunicato».
Ieri ad Amsterdam il titolo Gucci ha comunque chiuso in calo del 3,22% a 100,80 euro, sull’onda del momento difficile dei titoli del lusso nelle Borse mondiali.
Paola Bottelli
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