3/5/2004 ore: 12:42
La maga e le banche del crac Giacomelli
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Atteso il rientro dalle Maldive di Gabriella Spada. Le analogie con i trucchi Parmalat |
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Nel ’97 però fanno la loro apparizione le banche e la Giacomelli si incammina su una strada che la porterà sei anni più tardi al crac, e successivamente, all’arresto dell’intero consiglio di amministrazione, padre e figlio inclusi (mentre Gabriella è alle Maldive) per le accuse di bancarotta fraudolenta, falso in bilancio e truffa. La Compagnia finanziaria, una merchant bank milanese presieduta dal marchese Alberto Lalatta (già proprietario della Finanziaria Centro Nord, una scatola vuota che alla fine degli anni ’80 viene venduta a Giuseppe Gennari e da questo girata a Calisto Tanzi, per consentirgli di quotare Parmalat), riesce ad organizzare nel ’97 una linea di credito da 17 miliardi a favore della Giacomelli alla quale aderiscono dieci banche, capitanate dal Mediocredito Centrale (Capitalia). I Giacomelli potrebbero cercare di assestare la loro azienda, che conta già 44 negozi, 600 dipendenti e un fatturato di 180 miliardi: e invece no, con i primi debiti bancari il gruppo inizia ad avvitarsi in una spirale sempre più vertiginosa di acquisizioni e nuovi debiti, con l’immancabile corollario di bilanci truccati che alla fine risulterà fatale, accomunandone il destino a quello della Parmalat. L’obiettivo è raddoppiare la rete commerciale entro il 2000, fa sapere Gabriella che intanto è diventata presidente del gruppo (con il marito nel ruolo di vice) e vagheggia un futuro da “Mc Do nald’s dello sport”, con tanto di Borsa, vendite su Internet e una forte espansione all’estero. Al 2000 la Giacomelli ci arriva con risultati anche migliori, 110 negozi, 441 miliardi di fatturato, 1.500 dipendenti. Nel frattempo però anche l’indebitamento bancario sfiora i 150 miliardi, mentre i debiti a breve (300 miliardi) superano di cinque volte il patrimonio netto. A questo punto però fermarsi è impossibile, perché sono già tre anni che i conti vengono falsati ingigantendo la voce “rimanenze”: il valore delle merci in magazzino lievita più di dieci volte tra il ’96 e il 2002 (da 40 a oltre 450 miliardi) rimpolpando magicamente gli asset del gruppo, così da consentire ai Giacomelli di chiedere nuovi prestiti, comprare negozi (tutti in perdita, dall’Estonia al Portogallo), e tornare poi in banca per ulteriori affidamenti, a fronte di ricavi in crescita. Il 2001 è l’anno della quotazione in Borsa, una scelta obbligata perché i debiti superano i 220 miliardi e gli istituti di credito stanno per chiudere i rubinetti: dal collocamento il gruppo raccoglie quasi 200 miliardi, una liquidità che viene bruciata in appena sei mesi. Nel febbraio 2002 la Abaxbank di Fabio Arpe (gruppo Credem) corre in soccorso della famiglia, organizzando con Banca Akros (Pop. Milano) l’emissione di un bond da 100 milioni di euro che sarà sottoscritto per l’80% da risparmiatori italiani. Di questi soldi, circa 150 miliardi saranno dilapidati per comprare la Longoni Sport, azienda rivale quasi decotta, con 175 miliardi di debiti, di cui 60 con le banche (quali?); e la regia dell’operazione spetta sempre ad un istituto del Credem, Euromobiliare. Davanti a questo affare a perdere, il mercato sente odore di bruciato: in pochi mesi il titolo Giacomelli brucia in Borsa l’80% del suo valore, azzerando tutte le risorse incamerate con la quotazione. La resa dei conti arriverà solo nell’estate 2003, quando davanti alle istanze di fallimento avanzate dai creditori, il tribunale di Rimini concede l’amministrazione controllata. La famiglia getta la spugna e il nuovo management dà incarico alla Kpmg di controllare i bilanci. Salteranno fuori tutti i trucchi contabili che per anni erano sfuggiti ai revisori della Deloitte & Touche, per coincidenza gli stessi dei bilanci Cirio e Parmalat. Il resto è storia di queste ore, con l’intero consiglio agli arresti. Quanto a Gabriella, latitante, la Guardia di finanza ha scoperto che la signora, più volte incoronata “imprenditrice dell’anno”, gestiva 171 negozi in 9 paesi, 3 mila dipendenti e oltre 600 miliardi di fatturato, grazie ai suggerimenti di una maga, che veniva interpellata prima di ogni scelta strategica. L’ultimo consulto è avvenuto tre giorni prima del blitz delle Fiamme Gialle: “Vai in vacanza, vai”, è stato il responso. E lei è partita. |