Francia, Germania, Spagna, Olanda, Italia, Regno Unito
Politiche del lavoro - Pur nel rispetto delle diversità nazionali, da Barcellona è partito un invito deciso a liberalizzare il mercato Flessibile, atipico, part time: la scelta Ue
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Il Consiglio europeo di Barcellona ha indicato la strada per ammodernare il mercato del lavoro. È da anni che l'Europa lo chiede, sin dal vertice di Lussemburgo sull'occupazione del novembre 1997. I 18 milioni di disoccupati che nel 1993 avevano indotto il presidente della Commissione europea Jacques Delors a varare il suo "libro bianco per la crescita e l'occupazione" sono rimasti come un macigno inamovibile a determinare le scelte europee. La flessibilità, è stato detto a Barcellona, non è sinonimo di precarietà. L'invito è a creare posti di lavoro con qualunque mezzo, incoraggiando le categorie più svantaggiate: donne, giovani al primo impiego, anziani a rischio. Ma, a differenza di quanto era avvenuto a Maastricht per la moneta unica, per blindare la quale erano stati fissati rigidi parametri, per il lavoro Barcellona ha messo in guardia contro una eccessiva regolamentazione. La strada, già indicata a Lussemburgo, è quella della formazione continua o «per tutto l'arco della vita», puntando al potenziamento dell'imprenditorialità. Nel capitolo dedicato alle «politiche attive per la piena occupazione», l'invito di Barcellona è a «mettere in atto strategie adatte ai diversi ambiti territoriali» per giungere a realizzare gli obiettivi già fissati al vertice di Lisbona nel 2000, un livello di occupazione del 70% per gli uomini e del 60% per le donne entro il 2010. Un traguqardo che per l'Italia è molto lontano. Un altro punto fermo è quello del potenziamento delle forme di lavoro atipico, non solo del part time. Si tratta anche di "tagliare" il lavoro secondo le necessità dei singoli, perché si possano conciliare lavoro e vita di famiglia. Ogni paese ha certo le sue ricette, che vanno bene per le singole realtà nazionali. Ecco l'importanza del richiamo alla flessibilità, anche se nel rispetto delle garanzie inalienabili. pagina a cura di Maria Laura Franciosi
FRANCIA
Prima di tutto, l'orario ridotto |
La Francia è il paese delle 35 ore, un dispositivo attuato alla metà del 2000 e di cui usufruisce il 50% dei lavoratori. Fortemente voluto dal primo ministro Lionel Jospin, il provvedimento avrebbe permesso, secondo il Governo (ma gli imprenditori contestano il collegamento causa effetto) di creare migliaia di nuovi posti di lavoro incidendo sul livello della disoccupazione (8,9% a fine 2001, ma le previsioni sono di crescita). Le 35 ore hanno permesso di limitare il ricorso al part-time specie dopo che dal 1 gennaio 2001 è stata annullata la possibilità di ridurre gli oneri sociali per i lavoratori a tempo parziale. In controtendenza con il resto d'Europa si punta ora a por fine al lavoro temporaneo e ai contratti a termine come sistema permanente di gestione del personale. Anche il collocamento è stato rinnovato per superare le resistenze alla mobilità mentre per prevenire i licenziamenti si è intensificato il monitoraggio delle azioni delle imprese che potrebbero avere un impatto sulla forza lavoro incoraggiando le parti sociali ad accordarsi per un passaggio preventivo attraverso le 35 ore prima di ricorrere a più drastiche decisioni. Tra gli altri incentivi: la riduzione di un punto percentuale del carico fiscale, la riduzione dell'Iva, i premi per l'occupazione, la riduzione del programma PRP che permette a chi ha più di 55 anni di restare al lavoro part time. |
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GERMANIA
Il posto si trova con la rotazione |
Il divario tra vecchi e nuovi "laender" incide pesantemente sulla situazione dell'occupazione in Germania dove sono aumentati i disoccupati di lungo periodo (fino a 2 anni) nei secondi. Il 1 gennaio 2001 è stata varata una legge sul lavoro part time e sui contratti a termine con il diritto a regolari contributi. I più anziani sono stati incoraggiati a non uscire dal mercato del lavoro. I lavoratori part time sono così passati a 4,5 milioni su 27,4 milioni di occupati. Per favorire la formazione dei lavoratori più giovani, sono stati creati contratti a termine "a rotazione" che permettono alle imprese di assumere a tempo determinato lavoratori disoccupati per sostituire loro dipendenti in fase di formazione. Nel 2000 i disoccupati in Germania erano 3,9 milioni. Se la situazione dell'occupazione nei nuovi laender continua a essere una grossa sfida, soprattutto per il livello dei disoccupati di lunga durata (4,4% di tutti i senza lavoro), aumenta la tendenza a una "politica del lavoro attiva", con un forte impegno del bilancio federale (44,4 miliardi di DM nel 2001) per favorire i "gruppi più deboli" come i giovani e le donne. I sussidi di disoccupazione sono stati ridotti a favore di contratti di apprendistato (+2,6%). Nel 2001 si è così toccato il livello più basso di disoccupazione giovanile dal 1992, con un particolare incremento per le donne. |
SPAGNA
La formazione ha dato i frutti |
Con uno dei livelli più elevati di disoccupazione in tutta l'Ue (13,6% a fine 2000, di cui il 33% da oltre 12 mesi fuori dal mercato del lavoro), la Spagna ha messo in atto politiche di incentivazione della formazione, di ammodernamento del sistema del collocamento di sgravi fiscali che hanno permesso di ridurre l'esercito dei senza lavoro anche tra i più anziani con forti tagli agli oneri sociali per i lavoratori tra 55 e 64 anni. Tra le azioni intraprese, decisamente innovativa è stata l'idea di far collaborare anziani e giovani (il programma SECOT), affidando ai primi il compito di valutare e guidare il lavoro dei secondi. Degli interventi di formazione hanno beneficiato oltre un milione di persone nel 2001 (il 67% delle quali ha trovato lavoro entro 6-12 mesi). A favorire l'occupazione hanno contribuito anche gli sgravi fiscali per i datori di lavoro e l'emersione del sommerso, ma soprattutto gli accordi sul part-time tra governo e sindacati. Di una riforma del lavoro part-time si era cominciato a parlare nel 1995, ma solo nel 1998 si è giunti a un accordo su contratti stabili a tempo parziale. Nel 2000 i lavoratori part time erano 2,5 milioni, pari al 18,4% della forza lavoro. Un decreto del maggio 2001 ha poi modificato le norme sul part time rendendole più flessibili e trasparenti. |
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OLANDA
Una rivoluzione la mossa vincente |
È il regno della flessibilità del lavoro, con un forte ricorso al part-time (12-34 ore settimanali) e ad orari di lavoro ad personam che interessa un terzo della popolazione attiva (2/3 sono donne). La flessibilità è aumentata specie dopo il 1997, quando l'aumento di prezzi e salari, più che in ogni altro Paese dell'eurozona, ha annullato i vantaggi competitivi di cui godeva l'Olanda con il suo efficace controllo su salari e costi del lavoro. Con un tasso di disoccupazione tra i più bassi dell'Ue, l'Olanda vanta un'offerta di lavoro tra le più effervescenti (oltre 800.000 posti nel 1999 di cui quasi 170.000 rimasti vuoti). Il ricorso al part time è in massima parte volontario, una percentuale molto inferiore al resto dell'Ue. Per soddisfare la domanda di lavoro il governo ha ridotto i sussidi di disoccupazione, favorendo la partecipazione di donne, anziani e minoranze etniche e ammodernando il sistema del collocamento. Anche il sistema di sicurezza sociale è stato rivoluzionato con crediti fiscali e sovvenzioni per chi abbandona il salvagente dei sussidi. Dal 1 luglio 2002 saranno aboliti gli incentivi fiscali al prepensionamento. La modifica della legge sui fallimenti infine ha favorito al massimo l'imprenditorialità permettendo alle imprese in difficoltà di sopravvivere con moratorie sui debiti |
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ITALIA
Resta forte il divario fra il Nord e il Sud |
Il divario Nord-Sud è l'elemento che maggiormente caratterizza la situazione dell'occupazione in Italia dove, specie nel Sud, trionfa il precariato. Benché la disoccupazione sia calata al disotto del 10% per la prima volta in 10 anni, il Sud resta la "palla al piede" rispetto ad un Nord. La svolta si è avuta nel 2000 quando hanno cominciato a vedersi i risultati delle politiche messe in atto dopo il Vertice Ue di Lussemburgo (1997), il primo dedicato al lavoro. Ora gli obiettivi di pieno impiego indicati al Vertice di Lisbona (2000) e di recente a quello di Barcellona, appaiono molto più vicini, considerato che l'occupazione è cresciuta di 1,5 milioni nel quinquennio 1995-2000. Il livello di disoccupazione media del Centro-nord non è infatti molto dissimile dalla media europea, ma quello del Sud è doppio, con punte elevate in alcune regioni, specie per i giovani. Nel 2000 il tasso di occupazione ha superato la metà della forza lavoro (53,5%), ma resta lontano dagli obiettivi europei. Per le donne l'aumento è stato molto più marcato che per gli uomini (+ 5,1% contro l'1,7%), anche se il tasso globale di occupazione femminile (39,6%) risulta ancora molto più basso della media Ue. Un passo avanti è stato compiuto in Italia con la riforma del collocamento e la creazione dei servizi per l'impiego (Spi) che hanno fissato obiettivi diversi per diversi utenti (disoccupati di lunga durata, donne, anziani, giovani, disabili ecc). Rivisto anche il part time, mentre il governo Berlusconi ha recepito il contratto a termine europeo, nonostante l'opposizione della Cgil. La spinta verso la flessibilità ha creato nuove figure di contratti come quello della collaborazione coordinata e continuativa. Il prolungamento del trattamento per la disoccupazione, l'emersione del sommerso, i crediti d'imposta, insieme con il sostegno ai lavoratori interinali impegnati in attività precarie, hanno permesso ulteriori miglioramenti del livello di occupazione tra le categorie particolarmente sfavorite. Un'altra spinta è stata data dall'accento sulla formazione continua, sulla riqualificazione e sulle pari opportunità. In alcuni centri per l'impiego è stata introdotta la figura del "consigliere di parità". Forse, visto il persistente divario tra l'occupazione femminile e quella maschile, ce n'era effettivamente bisogno. |
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REGNO UNITO
Un sistema dinamico che crea opportunità |
Con il 74,8% di occupati (il 69% donne) la Regno Unito è uno dei Paesi dove l'occupazione è tra le più elevate nell'Ue. Nel suo piano d'azione per l'occupazione del 2001, il governo di Londra vanta l'assorbimento di 2,98 milioni di richiedenti lavoro, compresi 1,04 milioni di giovani. Il mercato del lavoro britannico si può quindi definire "dinamico" con un forte accento sulla flessibilità che ha movimentato i flussi di occupazione: se circa 3 milioni hanno trovato lavoro, altrettanti lo hanno lasciato chiedendo sussidi di disoccupazione, metà dopo 3 mesi di lavoro e il 75% dopo 6. Ma solo un disoccupato su 5 riceve tali sussidi per un periodo di tempo prolungato. Di tutti gli occupati, tre quarti circa lavorano a tempo pieno con un numero di ore variabile. Il part time è solitamente appannaggio delle donne (45% contro il 9% tra gli uomini). Il 46% dei luoghi di lavoro con più di 10 dipendenti offre la possibilità di passare da full time a part time. Un 13% permette il lavoro da casa e il 28% autorizza il job sharing e il 16% offre lavoro a termine. E' interessante comunque notare che il 62% di coloro che lavorano part time è soddisfatto del proprio lavoro come pure il 56% dei lavoratori a termine e il 61% dei temporanei ("temps") contro il 52% dei full time. È il trionfo dell'interinale con nuove forme di partnership sociale basate su una organizzazione del lavoro flessibile a vari livelli. Rispetto all'Ue dove il 40% lavora 40 ore la settimana, la percentuale britannica per questo orario è solo dell'11%. Con 6,6 milioni di persone che lavorano part time o a tempo determinato (l'80% donne), la Regno Unito, con l'Olanda, si pone ai livelli più alti per la flessibilità del lavoro, specie da quando, nel 2000, è entrata in vigore una nuova legislazione che da gli stessi diritti e garanzie dei full time anche a chi lavora part time. Non ai "temps". Una recente proposta di direttiva della Commissione europea in tal senso è stata accolta malissimo oltre Manica. Il governo di Londra preferisce invece potenziare l'imprenditorialità favorendo la creazione di nuove piccole o mini imprese grazie a forti sgravi fiscali. Il motto che va per la maggiore è "pensa prima in piccolo" (think smaller first), ma sul licenziamento senza giusta causa (la "unfair dismissal") veglia l'occhio attento dei giudici. Lunedí 25 Marzo 2002
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