Le donne chiedono più flessibilità

Indagine tra le imprenditrici del Nord-Est: troppi vincoli su maternità e part-time Le donne chiedono più flessibilità Claudio Pasqualetto
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TREVISO - L'altra metà del cielo non finisce di sorprendere e mette in discussione proprio le norme e le agevolazioni fatte su misura per favorire il rapporto fra donna e lavoro. Le leggi di tutela della maternità risultano talvolta opprimenti, eccessive e finiscono per essere controproducenti per il lavoro femminile. Il part-time è rigido tanto da risultare in certi casi inapplicabile. Persino le agevolazioni all'imprenditoria femminile rischiano di essere penalizzanti in quanto comunque creano una discriminazione e possono soffocare una parte del merito. Un'indagine svolta fra le imprenditrici del Nord-Est in occasione di Parimpresa, manifestazione promossa dalla Camera di commercio di Treviso, sembra destinata a fare piazza pulita su più di un luogo comune. Il punto di partenza è ormai conosciuto. Quest'area di piena occupazione si trova necessariamente a dover recuperare il maggior numero possibile di "non occupati" e le donne costituiscono un serbatoio ancora molto interessante cui attingere. Nessun dubbio, ormai, sulla loro capacità di interpretare al meglio qualsiasi mansione, né su determinazione e pragmaticità che sembrano le due doti principali. I problemi sono altri, riconducibili a due grandi filoni: la carenza di servizi e la rigidità delle norme. «C'è il rischio reale che una serie di fattori concomitanti, anche in se stessi positivi, finisca per rinchiudere la donna in una sorta di riserva indiana - ha detto a Treviso la presidente dei Giovani di Confindustria, Anna Maria Artoni - il problema ha radici culturali ma non può diventare una sorta di alibi, solo puntando su merito e concretezza sarà possibile evitare questa trappola». Nicola Tognana, vicepresidente di Confindustria, si è detto tutt'altro che sorpreso dalla posizione delle imprenditrici del Nord-Est. «Abbiamo una formula del part-time che è un esempio di rigidità - ha spiegato - ed anche le norme sulla maternità costituiscono un obbligo più che una agevolazione. Perché non permettere alle donne, ovviamente se lo desiderano, di continuare a lavorare o perché non facilitare una loro ripresa approfittando, ad esempio, del periodo di aspettativa per far loro frequentare corsi di formazione? Il vero problema - ha aggiunto - è togliere i troppi steccati e creare delle formule di alta flessibilità che sono un vantaggio per i lavoratori, ed in questo caso per le lavoratrici, prima che per le imprese. Questo, però, deve procedere parallelamente con un impegno sul fronte dei servizi alla famiglia e qui entrano in campo gli enti locali, l'efficienza di una pubblica amministrazione che sembra bloccata in mezzo al guado fra ruoli che dovrebbe andare ad assumere e passaggi di poteri e di finanziamenti che non arrivano». Ci sono questioni come gli asili, i trasporti, le scuole che sono fondamentali per consentire alle donne di avvicinarsi al mondo del lavoro. «Ma non è certo l'impresa a poter risolvere da sola questi problemi - ha sottolineato Anna Maria Artoni - noi possiamo creare le condizioni, le donne già ci mettono una precisa volontà ma bisogna trovare un sistema molto variabile, adattabile alle diverse situazioni. Bisogna creare una sorta di grande alleanza sui servizi. Le norme devono essere di sostegno, non di ostacolo a tutto questo e le agevolazioni non possono trasformarsi in una difficoltà, in una penalizzazione sostanziale». La questione, in definitiva, sembra essere più di contesto che di sostanza perché, ad esempio, le donne single non hanno certo problemi di inserimento né di affermazione sul mercato del lavoro. Ma l'ostacolo non può essere costituito dalla "voglia di famiglia" e probabilmente bisogna ripartire, oltre che naturalmente dai servizi, anche dalla riscoperta del principio di sussidiarietà, in casa come sul lavoro. Sabato 01 Giugno 2002
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