Le eroiche sconfitte di governo e sindacati

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EDITORIALE del 7 Dicembre 2002
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FIAT Le eroiche sconfitte di governo e sindacati
Un bel libro della politologa americana Miriam Golden si intitola «Eroiche sconfitte». La tesi è affascinante e la sintetizza efficacemente la stessa studiosa: «Le vertenze sulla riduzione della forza lavoro sembrano spesso caratterizzate da una sorta di irrazionalità, quasi che gli attori non si siano resi conto che i loro sforzi erano condannati in partenza». In realtà la irrazionalità è solo apparente poiché il vero obiettivo - e la Golden applica il suo assunto ai 35 giorni della Fiat nell’80 e allo sciopero dei minatori britannici nell’84-’85 - è spesso la sopravvivenza delle stesse organizzazioni sindacali. Non la difesa - impossibile - dei posti di lavoro di un’azienda in crisi. Insomma, la guerra si fa per marcare la propria esistenza. Si può leggere l’ultima vertenza Fiat attraverso questa chiave interpretativa? Probabilmente sì, e la si può applicare non solo ai sindacati ma anche al governo, la cui azione impropria ha condotto a un inedito accordo separato destinato certamente a essere studiato dai cultori delle relazioni industriali. Che i sindacati fossero destinati alla sconfitta (non molto eroica) era chiaro fin dall’inizio. Chiedere alla Fiat di ritirare il suo piano industriale e sostenere l’ingresso dello Stato nel capitale azionario dell’azienda non è mai apparso un approccio negoziale lungimirante. E - diversamente da altre occasioni - è sembrato proprio questo il collante dell’unità delle sigle sindacali. Ma la partita vera per il sindacato si giocherà negli stabilimenti dove, per almeno una parte di esso, sarà difficile sottrarsi al confronto per l’applicazione del piano di riorganizzazione. L’altra sconfitta (anch’essa non molto eroica) è del governo. Per marcare la propria esistenza ha sostenuto tutte le tesi possibili: l’ingresso dello Stato nel capitale del Lingotto; l’interessamento della Toyota per lo stabilimento di Termini; l’indisponibilità a «concedere» gli ammortizzatori senza certezze sul rientro in fabbrica dei lavoratori; la debolezza del brand e l’inadeguatezza del management. Ha detto anche che non avrebbe mai permesso altri prepensionamenti. Sappiamo - come previsto- che ne arriveranno tanti. Il nuovo welfare può attendere. Ma perché il sindacato non sfida questo governo a disegnare un moderno welfare, senza prepensionamenti, ma capace di sostenere una dolorosa ristrutturazione industriale?
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