Licenziamenti, alta tensione Fiat-Fiom
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MILANO — Sì, questa volta sciopereranno — oggi, dalle due alle quattro ore a seconda dello stabilimento — anche le sigle che con la Fiat hanno fatto la battaglia per Pomigliano. Ma il blocco proclamato da Fim, Fismic, Uilm e Ugl (la Fiom lo incorporerà in quello anti-licenziamenti di domani) è in fondo da «ordinaria» trattativa: il Lingotto, come da previsioni, ieri ha comunicato che luglio non porterà l’atteso saldo di 600 euro sul premio di risultato, e la risposta è stata l’altrettanto atteso «stop». Esattamente come è accaduto negli ultimi cinque giorni, con l’unica differenza che l’astensione riguarderà in contemporanea tutto il gruppo. Non è questo però — anche perché qui, se il bilancio 2009 «non consente di riconoscere quote aggiuntive a saldo», la Fiat conferma comunque il pagamento di 1.343 euro in 13 mensilità— il reale fronte caldo delle relazioni industriali torinesi. Il vero braccio di ferro è sempre quello con la Fiom. Sebbene abbia firmato, ieri, il verbale sulle «rate mensili» del premio (potrebbe essere un primo segnale distensivo: un anno fa era rimasta fuori) c’è sempre Pomigliano sullo sfondo.
La tensione, tra il Lingotto e il sindacato di Maurizio Landini, è altissima. Era salita già martedì, dopo il licenziamento di un tecnico di Mirafiori che è, anche, delegato dei metalmeccanici Cgil. È esplosa ancor di più ieri, quando il copione si è ripetuto a Melfi. C’erano tre operai sospesi, con l’accusa di aver impedito di lavorare anche a chi non partecipava a una manifestazione interna. Ieri, il primo dei tre ha ricevuto la lettera di licenziamento. Per gli altri due sarebbe questione di ore. E poiché pure in questo caso l’uno è un iscritto Fiom e gli altri ne sono delegati, per Landini i provvedimenti non solo non sono giustificati: «La Fiat — attacca — è passata dal ricatto alla rappresaglia e alle intimidazioni».
Inutile dire che il Lingotto le accuse le ribalta, e parla di «licenziamenti per giusta causa con cui le tessere nulla hanno a che fare». Tant’è che, sempre in questi giorni ma senza che la cosa abbia suscitato lo stesso clamore, a essere licenziato sarebbe stato anche un delegato Uilm della Sofim-Iveco di Foggia. Motivazione: utilizzo dei permessi sindacali a fini personali. È però, allora, ancora più chiara la vera ragione dello scontro. La Fiom, dopo Pomigliano, ha minacciato «l’ingovernabilità delle fabbriche». La Fiat ha scelto la linea dura subito per dimostrare che non lo tollererà. Dopodiché, è vero che la solidarietà degli altri sindacati ai metalmeccanici Cgil è apparsa più che altro formale (non a caso fin qui il «loro» sciopero è legato solo al premio di risultato). Ed è certo che gli stessi lavoratori Fiom di Mirafiori provano a stemperare i toni attraverso una lettera molto pacata a Sergio Marchionne, cui va l’«apprezzamento per gli investimenti previsti dal piano industriale» e il conseguente invito a un confronto «per approfondire i temi senza filtri e finzioni comunicative». Quel che non cambia, per ora, è proprio questo: «comunicano», Lingotto e Fiom-Cgil, solo via media. E, dopo i licenziamenti, non è soltanto la confederazione di Guglielmo Epifani ad accusare Torino di «metodi autoritari che determinano tensione sociale». Lo stesso Pd, che come la Cgil su Pomigliano aveva provato a «raffreddare» Landini e i suoi, con Cesare Damiano ora chiede «l’abbandono di una strada che porterebbe a una conflittualità incontrollabile». Ma l’appello è rivolto a tutti: «Serve uno sforzo congiunto di concertazione e accordo».