8/7/2003 ore: 11:03
Licenziato perché gay? Provalo se ce la fai
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martedì 8 luglio 2003
Licenziato perché gay? Provalo se ce la fai
Tante le trappole del decreto governativo varato per attuare la direttiva europea. Cgil: impegno per le modifiche
Delia Vaccarello
Un decreto con le trappole. Il decreto del consiglio dei ministri che avrebbe dovuto attuare la direttiva europea contro le discriminazioni sul lavoro basate su religione o convinzioni personali, handicap, età o orientamento sessuale risulta un'arma spuntata.
Un provvedimento che dice di tutelare ma non rafforza gli strumenti necessari alla tutela e che anzi, in certi casi, sembrerebbe spingersi oltre. Leggendo il decreto ci si chiede: un
gay potrà essere cacciato dalle forze armate? Più in generale, in che senso verranno chiesti certificati di idoneità? Il fatto è grave per numerose ragioni. Noi siamo, in tema di diritti civili, il fanalino di coda dell'Europa, attuare in maniera completa la direttiva europea (attenzione non è una semplice risoluzione, bensì uno strumento più incisivo nella politica degli stati membri dell'Unione Europea) significava iniziare a rendere
giustizia a quanti non sono considerati cittadini di serie A in questo Paese e cominciare a farlo partendo dal lavoro, valore su cui si fonda la nostra Repubblica secondo il dettato
della Costituzione. Attuare con fedeltà la direttiva, misura che il governo aveva l'obbligo
di prendere entro il dicembre di quest'anno, sarebbe stato quindi un buon inizio.
Il provvedimento era atteso. La Cgil ha lanciato mesi fa una campagna di sollecitazione nei confronti del governo, vedendo una grossa partecipazione. In più, il Bari Pride ha portato in piazza 50mila persone anche per chiedere uno strumento di tutela contro le discriminazioni nei posti di lavoro. Ai ministri si chiedeva non inventiva, ma l'applicazione di una normativa europea. La risposta del Governo, invece, fa acqua da tutte le parti. Per esaminarla, proprio perché l'ambito di riferimento è il lavoro, abbiamo chiesto alla Cgil e ai suoi esperti di farci da guida. Maria Gigliola Toniollo, responsabile
del Settore Nuovi diritti Cgil, annuncia che non resterà a guardare, che la Cgil proseguirà l'impegno per l'attuazione della direttiva: «Quel poco di positivo che troveremo
verrà percorso fino in fondo per combattere le discriminazioni, e faremo il possibile perché sia modificato il decreto». Entro un anno dall'entrata in vigore, il testo può essere
corretto o integrato da un altro decreto.
Dal canto suo, la Commissione europea valuterà il decreto e la sua fedeltà alla direttiva.
Ecco i punti e le violazioni più significative.
ONERE DELLA PROVA.
Facciamo un esempio: secondo la direttiva europea se una persona licenziata perché gay fa vertenza al datore di lavoro non è la parte lesa che deve portare le prove del danno in questione, bensì è il datore di lavoro che deve provare il contrario nel caso in cui intenda difendersi . Un procedimento che rafforza la posizione di chi viene discriminato, ma di cui i nostri ministri non hanno tenuto conto. «Il decreto ha fatto riferimento alle regole generali sull'onere della prova ed alla disciplina della presunzione semplice (art. 2729 del codice civile). È un aspetto molto grave, poiché l'onere della prova è uno dei maggiori ostacoli che la vittima delle discriminazioni incontra in sede giudiziale», dice Stefano Fabeni consulente per la Cgil e coordinatore del Cersgosig, centro di studi comparati
sulle legislazioni in materia di diritti civili nato anche grazie a un progetto della Commissione europea.
LEGITTIMAZIONE ALL'AZIONE.
Il decreto non prevede che le associazioni o organizzazioni interessate possano agire a sostegno e per conto del lavoratore discriminato. In pratica il lavoratore può avviare una denuncia delle discriminazioni da solo o con il sostegno dei sindacati. L'esclusione delle associazioni lo indebolisce, le persone omosessuali infatti hanno nell'associazione un
grosso punto di riferimento. «Spesso le discriminazioni sul lavoro rendono le vittime confuse e psicologicamente provate, l'aiuto del sindacato è indispensabile, ma la collaborazione con le associazioni è vitale», dichiara Gigliola Toniollo.
DIALOGO SOCIALE.
La direttiva prevedeva espressamente il ricorso al parere dei sindacati e delle associazioni
interessate già nella stesura del decreto, e non si limitava a questo. «Noi avremmo dovuto essere sentiti dal ministero del Lavoro e da quello delle Pari opportunità, cosa che
non è avvenuta. Nel decreto attuativo poi non è prevista la chiamata in causa, nel caso di una vertenza, delleassociazioni. Il lavoratore riceve un sostegno più debole a quello previsto dalla direttiva europea», aggiunge Maria Gigliola Toniollo. E ancora. «Il decreto legislativo non contiene previsioni che attuino le norme della direttiva anche in relazione
alla diffusione delle informazioni e al dialogo con le organizzazioni non governative. Se il Governo non interverrà su questo punto, la mancanza sarà grave», aggiunge Fabeni.
ACCERTAMENTI DI IDONEITÀ.
La questione è aperta e può dare adito a pericolosi precedenti. La direttiva europea prendeva in considerazione gli accertamenti relativi all'età. Ora ci chiediamo, in che senso di una persona gay o di una musulmana si deve accertare l'idoneità? «Il decreto (art. 3, comma 4), fa salva la legittimità di "disposizioni che prevedono accertamenti di idoneità al lavoro per quanto riguarda la necessità di una idoneità ad uno specifico lavoro";
le eccezioni legate all'idoneità sono ammesse dalla direttiva esclusivamente in relazione al fattore dell'età. Se la portata della disposizione italiana è di carattere generale potrebbe
aprire la strada ad accertamenti di idoneità discriminatori dalle conseguenze imprevedibili», dichiara Stefano Fabeni.
SERVIZIO MILITARE.
Gay esclusi dal servizio militare? Forse. Il decreto recita che non costituisce atto di
discriminazione la valutazione delle caratteristiche legate a religione, handicap, età, orientamento sessuale ove esse assumano rilevanza ai fini dell'idoneità allo svolgimento delle funzioni che le forze armate e i servizi di polizia, penitenziari o di soccorso possono essere chiamati ad esercitare. Ma c'è dell'altro: «In altro punto il decreto fa salve le disposizioni che prevedano requisiti di idoneità relativamente alle forze armate limitatamente ai fattori di età ed handicap: sembrerebbe allora che l'ulteriore specificazione (art. 3, comma 3) potrebbe consentire di escludere l'accesso alle forze armate proprio per le persone omosessuali», dice Fabeni. Non si tratta di una vera e propria violazione in quanto questa eccezione è prevista nel preambolo della Direttiva: «È significativo però - aggiunge Fabeni - che sia stata inseri ta nel testo italiano, anche perchè il preambolo non era vincolante». Occorre qui una riflessione: in questo caso la discriminazione sarebbe già contenuta nel provvedimento europeo che il decreto italiano deve attuare. Ma perché un gay non dovrebbe fare il militare, tanto più che il fenomeno
non è infrequente?
PEDOFILIA.
Il decreto, come in altri casi, cade in una ripetizione che non appare priva di significato. E accosta pedofilia a orientamento sessuale: si scivola nella trappola del pregiudizio,
questa volta recitato dalla legge, che vuole le molestie e le violenze ai minori commesse dai gay? Dice Fabeni. «Il decreto (art. 4, comma 6) stabilisce che resta ferma "la legittimità di atti diretti all'esclusione dallo svolgimento di attività lavorativa che riguardi la cura, l'assistenza, l'istruzione e l'educazione di soggetti minorenni nei confronti di coloro
che siano stati condannati in via definitiva per reati che concernono la libertà sessuale dei minori e la pornografia minorile". Si tratta di una norma che non aggiunge nulla. Già escludere una persona in una simile situazione è legittimo, così come è legittimo licenziare un bancario che sia condannato in via definitiva per truffa». È chiaro, allora, il significato politico aggiunge Gigliola Toniollo: «È evidente che si vuole sottintendere una relazione tra orientamento sessuale e pedofilia, o peggio, confondere l'omosessualità con la pedofilia».
REQUISITI OCCUPAZIONALI.
Si tratta dell'art. 3, comma 3 che è stato al centro di un piccolo «giallo». Una frase prima presente nell'ultima stesura fatta dalla commissione, poi scomparsa nel testo licenziato dal
consiglio dei Ministri ha dato adito a diverse interpretazioni. «La prima versione del decreto (approvata in via preliminare dal consiglio dei ministri) stabiliva che non costituiscono atti di discriminazione le differenze di trattamento dovute a caratteristiche
connesse a religione, handicap, età, tendenze sessuali qualora si tratti di caratteristiche che incidono sulle modalità di svolgimento dell'attività lavorativa o che costituiscono
un requisito essenziale e determinante ai fini dello svolgimento dell'attività lavorativa. L'espressione "qualora si tratti di caratteristiche che incidono sulle modalità di svolgimento dell'attività lavorativa" introduceva una generalizzata eccezione all'applicazione del principio di parità di trattamento, in quanto consentiva che le caratteristiche legate a orientamento sessuale, handicap, ecc, venissero valutate rispetto alla loro eventuale incidenza sull'attività lavorativa. L'irregolarità sembra essere sanata nell'ultima versione del decreto», afferma Gigliola Toniollo. A questo punto la norma potrebbe riprendere la sua natura antidiscriminatoria, parlando di requisiti che in certi casi possono agevolare la scelta di un lavoratore piuttosto che di un altro, tenuto conto anche delle speciali mansioni. Insomma a volte convinzioni religiose o personali o orientamento sessuale possono essere requisiti di preferenza. «Questa regola, che oggi viene introdotta con riguardo a tutte le caratteristiche di cui si occupa la direttiva, non è del tutto nuova nel nostro ordinamento, in relazione alla disciplina delle cosiddette organizzazioni di tendenza, ad esempio la Cgil. La regola consente un'eccezione all'applicazione delle regole generali con riguardo al divieto di indagine delle opinioni dei lavoratori ed al licenziamento (il cosiddetto licenziamento ideologico) per le organizzazioni senza scopo di lucro ed in relazione alla natura delle funzioni che il lavoratore deve svolgere
- aggiunge Fabeni -. Ad esempio non è mai ammesso il licenziamento di un fattorino solo perché ha idee diverse rispetto a quelle dell' organizzazione di tendenza.
Se verrà applicata in maniera attenta, questa regola rappresenterà una garanzia».
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