29/11/2007 ore: 10:32
Mafie e mercato in Sicilia: Le mani sulla gdo
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Le mani sulla grande distribuzione le mani su «Etna valley» «Ormai consideriamo piccoli i centri commerciali sotto i 10 mila metri — dice il presidente della Camera di Commercio di Catania, Piero Agen —. E tra un paio d’anni la quantità di metri quadrati per abitante sarà tra le più alte al mondo. Come lo spiego? Non lo spiego, perché il mercato è stagnante e questa non è certo una delle zone più ricche del mondo». Catania non è un caso isolato. Centri commerciali stanno sorgendo come funghi un po’ ovunque in Sicilia: Ragusa, Siracusa, Messina e nel palermitano. Con i circa cento milioni necessari per aprirne uno di medie dimensioni e un mercato che per il solo alimentare vale 4 miliardi all’anno, i centri commerciali sono il nuovo motore dell’economia e dell’occupazione in una terra storicamente legata a finanziamenti e commesse pubbliche. Un business che necessariamente incrocia gli interessi della mafia. Non è solo il pizzo, anche se nel libro mastro del boss Lo Piccolo, Auchan figurerebbe tra i pagatori regolari. «Non abbiamo alcuna evidenza che la notizia sia vera», dice un portavoce della sede milanese di Auchan (di cui fa parte anche Sma) che oltre a essere leader in Sicilia è immancabilmente descritta da gli interlocutori incontrati dal Corriere Economia, come un player aggressivo e spregiudicato. Auchan, al pari dell’altra francese Carrefour, non è stata disponibile ad un’intervista col proprio management, in entrambi i casi «all’estero per lavoro». Che esista un tessuto connettivo tra grande distribuzione e malavita è palpabile, anche se tutti negano. Il meccanismo lo spiega Maurizio De Lucia, sostituto procuratore della Direzione distrettuale antimafia di Palermo: «Il pizzo è non è un problema per la grande impresa, che mette in conto il costo dei rapporti col territorio — dice De Lucia —. Per questo i centri commerciali sono per la mafia un’opportunità enorme. Alla mafia interessa che i lavori di costruzione siano affidati, o subappaltati, a imprese ’sue’; interessa gestire direttamente parte dei negozi; interessano le forniture e, infine, interessa influenzare le assunzioni, per ottenere consenso sul territorio e voti». De Lucia parla in base a fatti accertati: «Per il centro commerciale che doveva nascere a Villabate, alle porte di Palermo — spiega —, c’era una grande impresa del nord, la Asset Management, che si è mossa in una logica di accordo con la mafia del tipo descritto prima. Sono fatti recenti, tra il 2001-2005, venuti fuori grazie ad un pentito di alto livello, che ha spiegato connessioni politico/mafiose e meccanismi economico-finanziari. Abbiamo chiarito tutto e il procedimento è in corso. Altro caso è il Policentro di Partinico, progetto ancora in fieri, di cui alcune intercettazioni ci hanno rivelato come il principale latitante della zona fosse garante dell’operazione; l’interesse della mafia andava dalle forniture ai finanziamenti». Policentro e Asset Management sono developers, che poi vendono o affittano la struttura agli operatori commerciali. In questa fase il rischio è più evidente (la criminalità organizzata pare chieda un «obolo» del 2%), per l’acquisto dei terreni e le autorizzazioni. «Noi compriamo la struttura già realizzata — spiega il presidente di Ipercoop Sicilia, Alessandro Lago, che ha un iper a Ragusa ma vuole arrivare a quota dieci in pochi anni —. Finora non abbiamo avuto alcun problema di legalità ma siamo stati molto attenti. Verifichiamo tutto, a partire dall’acquisto dei terreni e la realizzazione è affidata a grandi cooperative del nord, da cui noi compriamo. Le forniture? Abbiamo un protocollo di legalità con le autorità, cui segnaliamo le aziende che lavorano con noi e ci impegniamo a denunciare eventuali problemi». Perché, sia pur flebilmente, il fronte del «tutto bene, la mafia non esiste» si rompa bisogna garantire l’anonimato. «È evidente che alcuni compromessi bisogna accettarli — ammette un manager di uno dei principali player —, magari nella scelta dei fornitori di prodotti freschi, o nei servizi di logistica, o talvolta nelle assunzioni. Però — continua — non c’è distorsione competitiva, perché il favore, la collusione, si esaurisce con la fornitura, che è effettuata a prezzi di mercato, i margini sono talmente risicati che non sarebbe possibile altrimenti». Chissà se i fornitori tagliati fuori hanno la stessa opinione. |