13/12/2007 ore: 10:24
Milano. I vescovi: basta lavorare la domenica
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Le diocesi criticano la Regione sull'apertura festiva dei negozi I vescovi: basta lavorare la domenica di Paolo Foschini I vescovi sono «perplessi» sull'apertura domenicale dei negozi varata dalla Regione. Ma perplessi è un eufemismo. Stigmatizzano «l'aggravio per i lavoratori dipendenti », condannano la «logica del consumo», mettono in guardia contro la progressiva contrazione del «tempo libero dagli impegni e dal lavoro », che poi vuol dire «meno tempo per la famiglia, per gli affetti, per le relazioni sociali ». Anche per la messa, certo. Il documento è stato sottoscritto da tutti i vescovi delle diocesi lombarde. In sintesi, dice, il riposo è sacro: «Salvare la domenica vuol dire salvare l'uomo stesso». La parola che usano è «perplessità ». Che nel linguaggio dei vescovi, come si sa, vuol dire molto peggio. E infatti, perché non ci siano equivoci, in realtà poi lo scrivono chiaro: stigmatizzano «l'aggravio per i lavoratori dipendenti», condannano la «logica del consumo», mettono in guardia contro la progressiva contrazione del «tempo libero dagli impegni e dal lavoro», che poi vuol dire «meno tempo per la famiglia, per gli affetti, per le relazioni sociali ». Anche per la messa, certo. Ma questo è solo un aspetto, e in realtà non il principale, del documento comune sottoscritto da tutti i vescovi di tutte le diocesi lombarde: per dire no all'apertura domenicale dei negozi già invocata da molti e ora varata dalla Regione. Grave sbaglio, rispondono i vescovi: «Salvare la domenica vuol dire salvare l'uomo stesso». E non è un no generico. Il documento, pubblicato ieri anche sul sito della Diocesi milanese, fa riferimento esplicito alla «recente legge regionale del 28 novembre che amplia l'apertura festiva e domenicale dei negozi». Per carità, gli uffici diocesani lombardi esordiscono con un riconoscimento: rivolto alla «tradizionale laboriosità» lombarda, all'intraprendenza dei suoi commercianti, e così via. Ma alla vita economica di una città e di una regione, proseguono, sono connesse anche delle «responsabilità». E la legge in questione, scandiscono, «non può non suscitare perplessità e interrogativi ». In primo luogo per quel che riguarda «i ritmi inerenti alla qualità della vita, da sempre fondati sull'alternanza fra tempo del lavoro e tempo del riposo». Invece: visto che «già il tempo feriale è oggi governato quasi completamente dalla logica e dai ritmi del lavoro», possibile che «anche la domenica debba essere governata unicamente dalla logica del produrre-distribuire- consumare»? E ancora: «A chi giova questa spirale per cui a tempi di lavoro sempre più dilatati devono corrispondere tempi di consumo ancora più ampi per consentire appunto a chi lavora di consumare ulteriormente?». Non solo. Tempo di «non lavoro » vuol dire più tempo «per la famiglia, per i figli, per gli amici». Il suo contrario è «disgregazione» sempre più estesa, con quel che ne segue: meno «relazioni», meno «momenti educativi», alla lunga «più violenza». E i vescovi concludono: «Il lavoro deve essere al servizio dell'uomo, non di altro».
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