Pacco di Natale di Marchionne. Ultimatum per Fabbrica Italia
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Sergio Marchionne rischia di fare la fine dell’incompreso in Italia.Non sono solo alcuni ambienti sindacali o politici poco affascinati dalla filosofia imprenditoriale del manager dei due mondi a mettersi di traverso, adesso sono pure i suoi colleghi industriali a frenare le sue presunte modernizzazioni. Ieri è successo qualche cosa di importante. Emma Marcegaglia, dopo aver diffuso le previsioni assai deludenti di Confindustria sull’economia italiana, ha riunito i presidenti delle associazioni territoriali sul caso Fiat, un incontro da cui è emerso un chiaro stop agli strappi di Marchionne. Gli industriali sono naturalmente al fianco della Fiat e di tutte le imprese che vogliono investire in Italia, sono pronti a soddisfare nuove condizioni che possano favorire questo disegno di sviluppo, ma nessuno vuole buttare a monte tutto il sistema di relazioni industriali consolidato e che, bene o male, ha retto in questi anni. La Confindustria è preoccupata che la rigidità delle posizioni di Marchionne, nel confronto con le parti sociali sulla ristrutturazione degli impianti per realizzare Fabbrica Italia, porti a scardinare i rapporti con i lavoratori e i sindacati, innescando un conflitto sociale che potrebbe infiammare le fabbriche. La balcanizzazione dei rapporti tra sindacati e imprese sul territorio non può essere il prezzo da pagare per accettare le condizioni di Marchionne. Le richieste della Fiat come quella sui sindacati aziendali, i vecchi sindacati “gialli”, con la discriminazione di chi non firma i contratti dell’impresa, comportano, secondo Confindustria, il rischio di rompere il sistema, creare un problema di governabilità dei rapporti sindacali sul territorio, esasperare la conflittualità. Nell’incontro di ieri gli imprenditori hanno espresso più di una perplessità sul percorso “all’americana” imboccato da Marchionne che, c’è da crederci, non apprezzerrà certamente l’orientamento uscito dal vertice confindustriale. Qualcuno, poi, si sta interrogando sul silenzio degli azionisti della famiglia Agnelli ricordando come, in altri tempi, il presidente della Fiat sarebbe intervenuto, eccome, per difendere gli interessi della casa o per mediare un punto di equilibrio comunque conveniente. Invece, John Elkann non si fa sentire. Tutto è sulle spalle di Marchionne che, diviso tra America ed Europa, è gravato da impegni e responsabilità enormi che possono indurlo in qualche valutazione non appropriata. La stampa americana, a questo proposito, è ben più critica di quella italiana sull’azione intrapresa da Marchionne alla Chrysler e sulla sua capacità di conseguire gli obiettivi più urgenti, come il ritorno in Borsa, il rimborso dei prestiti pubblici, il rilancio industriale e di mercato della casa americana nella sua integrazione con Torino. La partita Fiat è aperta,ma è prossima a qualche sorpresa. A otto mesi di distanza dall’annuncio di Fabbrica Italia appare ormai indispensabile che il progetto esca dall’ambiguità e dall’incertezza. Il tavolo di confronto su Mirafiori è stato interrotto dalla Fiat perchè «non ci sono le condizioni per realizzare l’investimento», secondo il Lingotto, dopo le critiche di tutte le sigle dei metalmeccanici. La disponibilità dei sindacati, le sollecitazioni della politica e delle amministrazioni locali, per riprendere il confronto non hanno prodotto risultati. La Fiat, anzichè ascoltare gli stessi consigli della Confindustria, ha lasciato passare le giornate, ha sperato e lavorato affinchè maturasse qualche iniziativa clamorosa come un’altra marcia dei 40mila trent’anni dopo che piacerebbe tanto ad editorialisti nostalgici e improbabili moralizzatori. Se ci fosse una replica, tutto è possibile in un paese dove Berlusconi è al governo, la marcia sarebbe probabilmente più magra perchè in tutta Mirafiori lavorano solo 16mila persone. I prossimi giorni offriranno, comunque, qualche novità nel caso Fiat. A Torino si teme che Marchionne stia preparando un “regalo” di Natale, una drammatizzazione finale su Mirafiori (i dipendenti, tra l’altro, vanno in cassa integrazione fino al 10 gennaio) e sul progetto Fabbrica Italia. L’amministratore delegato potrebbe riproporre l’ultimatum «fate come dico io oppure me ne vado», sperando nella capitolazione totale di dipendenti, sindacati e politica. Si potrebbe anche cedere se, finalmente, si vedesse qualche investimento, qualche nuovo modello, una prospettiva concreta di lavoro e sviluppo. C’è da chiedersi, infine, perchè un manager come Marchionne anzichè voler cambiare il Paese, distruggere i contratti e le relazioni industriali, non si limita a produrre auto di successo come fanno la Volkswagen o la Ford anche in questo periodo di crisi?