Palermo. Negozi Gulì, sos dei dipendenti
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Gulì, sos dei dipendenti Chiudono i negozi di tessuti, spaccatura tra i titolari Un deficit di quasi un miliardo manda a casa ventisei impiegati. Fine di una storia lunga cent'anni
ISABELLA NAPOLI
«Salviamo il marchio Gulì»: è l'appello lanciato dai soci e dai dipendenti dello storico negozio di tessuti in via Bandiera. La messa in liquidazione dei due punti vendita della catena Gulì è un dato di fatto dai primi di agosto, ma solo adesso emergono le divergenze fra i soci della ditta, titolare anche di un stabilimento tessile a Carini, l'Itg, l'Industria tessile Gulì. «Le aziende commerciali sono in perdita - dice l'amministratore Giuseppe Gulì - da quando il settore tessile è in crisi. È più facile rilanciare il polo industriale perché ha un mercato più ampio. Da Carini vendiamo infatti in tutta Italia e anche all'estero». Una decisione che segue a ruota quella di chiudere già da dicembre del 2000, con la scadenza del contratto di affitto, l'azienda di filatura e tessitura di via Noce, che è stata liquidata dopo 118 anni di attività. La linea di risanamento adottata dai soci maggioritari, Giacomo e Giuseppe, responsabili del polo tessile, non è però del tutto condivisa dal resto dei soci, che sono invece a favore di un rilancio dei negozi. Disaccordo manifestato platealmente nel corso dell'ultima assemblea dei soci e che comunque non ha impedito, dato il diverso peso degli azionisti, la messa in liquidazione. «Sono aziende ancora potenzialmente vive - ribatte Annamaria Gulì, una dei soci e amministratrice del negozio di via Bandiera - anche il polo industriale è in difficoltà. Dei punti vendita, vogliamo mantenere sul mercato almeno quella parte di nostra proprietà». Si tratta di 450 metri quadrati che danno su piazza Bottego, all'angolo con via Bandiera. In questi giorni Aldo Gulì, uno dei soci più anziani della ditta, ha disdetto il contratto di affitto dell'immobile di via Bandiera, nel tentativo di salvare l'attività commerciale. «Stiamo tentando di recuperare il negozio di proprietà e di farne un nuovo punto vendita - spiega Aldo Gulì - speriamo di riuscirci». «Abbiamo ricevuto attestati di solidarietà da tutti i palermitani - aggiunge Annamaria Gulì - il nostro marchio, con più di cento anni di storia alle spalle, era diventato ormai un'istituzione». Con un deficit di circa 450 milioni per ciascun punto vendita, e i manager del polo industriale che avrebbero deciso di arginare le perdite tagliando proprio il ramo commerciale, l'impresa non sarà facile. Fra le ipotesi lanciate dai titolari di via Bandiera assieme ai dipendenti, anche quella di una cooperativa per potere accedere ai finanziamenti previsti dalla legge sul commercio. Mentre i soci, che comunque risultano tutti liquidatori dei punti vendita, sono ancora in disaccordo sui destini dell'azienda, la vertenza sindacale è tuttora aperta. La messa in liquidazione e l'ipotesi di licenziamento sono stati comunicati all'Ufficio provinciale del lavoro il 7 agosto. Da allora, però, i dipendenti, sedici in via Bandiera e dieci in via Mariano Stabile, non hanno ancora ricevuto alcuna lettera di licenziamento e continuano a lavorare. «Speriamo in un'apertura delle trattative con i responsabili dell'industria tessile - dice Gaspare Santoro, della Uiltucs - Se non risponderanno al nostro appello, saremo costretti a scendere in piazza». L'iniziativa di protesta, se non avverrà in questi giorni un confronto fra le parti sulle sorti dei negozi, è in programma per lunedì prossimo: un sitin di fronte lo stabilimento di Carini, dalle 6 del mattino, per impedire ai dipendenti, in tutto un centinaio, di varcare i cancelli della fabbrica. Fra le manifestazioni di solidarietà della cittadinanza, anche una petizione, un centinaio di firme raccolte fra i clienti del punto vendita che aprì i battenti nel cuore del centro storico di Palermo nel lontano 1913.
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