L’evoluzione demografica è molto lenta; una volta innescati, i processi di transizione sono inarrestabili e manifestano i loro effetti per decenni. Da qui la necessità di adottare in tempi brevi misure in grado di contrastare tali effetti, avviando modificazioni dei comportamenti che possano sostenere sin d’ora la formazione di un maggiore prodotto futuro e quindi attenuare gli effetti ridistributivi delle maggiori spese per pensioni e per la salute. Nel corso degli anni 90 il tasso di crescita della spesa pensionistica è andato riducendosi anche in termini reali; dato il ritmo elevato con il quale andava crescendo alla fine degli anni 80, tale rallentamento non ha impedito alla spesa di continuare a crescere in termini di Pil, sia pure lentamente, come pure non le ha impedito di consolidarsi a un livello più elevato di quello di altri Paesi europei con struttura del sistema pensionistico analoga alla nostra; a tale livello più elevato di spesa corrisponde un’aliquota contributiva (il 32,7%) decisamente più eleveta (il 20-23%, ad esempio, per Francia e Germania), nonostante ciò il disavanzo complessivo di tutte le gestioni previdenziali italiane si colloca nel 1999 attorno ai due punti percentuali di Pil.
Nel lungo termine (dopo il 2025, quando il nuovo metodo di calcolo della pensione comincerà a entrare a regime), i provvedimenti già presi produrranno una riduzione significativa della spesa pensionistica in termini di Pil. Anche nel brevissimo termine, di qui al 2005, è probabile che la spesa pensionistica non desti particolari preoccupazioni; agiranno ai fini del suo contenimento sia l’entrata a regime delle modificazioni introdotte nel 1998, sia una temporanea caduta dell’entità delle leve di nuovi pensionati conseguente alla caduta delle nascite nel periodo della Seconda guerra mondiale.
Saranno i vent’anni tra il 2005 e il 2025 a costituire la fase più difficile della transazione demografica: le generazioni del baby-boom arriveranno all’età della pensione e i nuovi pensionati avranno carriere retributive più compatte rispetto a chi andava in pensione vent’anni fa e quindi la sola sostituzione di un nuovo pensionato a un vecchio pensionato farà aumentare la pensione media. In quei vent’anni ci si aspetta un aumento della spesa pensionistica in termini di Pil, di circa due punti percentuali.
Uno studio comparato, svolto da un gruppo di lavoro intergovernativo per conto del comitato di politica economica del Consiglio europeo, ha messo in evidenza che questo incremento di spesa per l’Italia è uno dei più contenuti rispetto agli incrementi di spesa previsti per gli altri Paesi. La ragione è presto detta. La maggiore generosità del sistema pensionistico italiano ha indotto il nostro Paese a prendere provvedimenti di riforma prima di altri Paesi dell’Europa continentale; allo stesso tempo il più elevato livello attuale di spesa pensionistica già raggiunto dal nostro Paese riflette il fatto che, semplificando, in Italia i baby-boomer hanno già cominciato ad andare anticipatamente in pensione. Si presentano, quindi, due diversi ordini di problemi: il primo, come contenere l’incremento di spesa negli anni 2005-2025; il secondo, come offrire opportunità ai giovani attuali di compensare la riduzione delle promesse pensionistiche a loro fatte.
Per quanto riguarda il contenimento della spesa, gli strumenti sono quelli già predisposti dalla legge Dini. Si tratta solamente di rafforzarne gli effetti attraverso il completamento dell’armonizzazione dei trattamenti e delle condizioni di accesso ai vari istituti del sistema pensionistico tra diverse categorie di lavoratori e attraverso l’accelerazione dell’entrata a regime di diversi istituti previsti dalla stessa legge, inclusa l’estensione pro rata del calcolo contributivo della pensione anche ai lavoratori sinora esclusi. Qualche innovazione sarebbe opportuna rispetto alla legge Dini, soprattutto lungo la linea già avviata con la Legge finanziaria per il 2001, al fine di incentivare un prolungamento dell’attività lavorativa.
Per quanto riguarda il problema relativo a come difendere lo standard di vita dei pensionati dei futuri anni 20 e 30, tutte le misure con effetti positivi sulla offerta di lavoro e di prodotto agiranno nella direzione di sostenere il loro standard di vita. Nella medesima direzione agiranno pure la possibilità di ridurre l’aliquota contributiva al fine di favorire una maggiore occupazione e lo sviluppo della previdenza integrativa. Infatti, se l’estensione della previdenza privata a capitalizzazione dovesse determinare una maggiore responsabilizzazione individuale, una maggiore disponibilità ad accettare il rischio che l’investimento in capitale comporta e, di conseguenza, un maggiore tasso di risparmio e una maggiore crescita della capacità produttiva, ciò determinerebbe più possibilità di consumo domani. Il risultato di questa sequenza di efftti è condizionato dalla misura in cui il progresso tecnico si diffonde a tutta l’economia. Se il progresso tecnico si trasmette incorporato nel grado di istruzione medio dei lavoratori e nella natura dei beni capitali che vengono impiegati nei processi produttivi, allora più elevati saranno gli impieghi del risparmio sotto forma di investimenti in istruzione e di beni capitali, più consistente sarà l’espansione possibile del prodotto futuro.
In altre parole, la sollecitazione a uno sviluppo rapido della previdenza integrativa è fondata sull’ipotesi che fra vent’anni sarà meno conflittuale ridistribuire i beni di consumo che i futuri lavoratori avranno prodotto, se i pensionati accamperanno diritti anche sulla base della loro partecipazione ai profitti e non solamente sulla base del patto intergenerazionale che li fa partecipare alla quota del reddito da lavoro. Così facendo, infatti, per tramite dei mercati finanziari, si saranno trasferite risorse dalle generazioni attualmente al lavoro alle generazioni che sarannno al lavoro nel futuro; le prime rinuncerebbero a parte del proprio consumo corrente per aumentare la dotazione di capitale del sistema economico, le seconde si ritroverebbero con una maggiore capacità produttiva e potrebbero condividere più agevolmente i beni di consumo con i pensionati futuri.
Venerdì 6 Aprile 2001
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