4/9/2003 ore: 9:19

Pensioni, scontro sulla linea Bossi-Tremonti

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04.09.2003
Pensioni, scontro sulla linea Bossi-Tremonti
di 
Bianca Di Giovanni


 Torna l’asse Bossi-Tremonti e tornano le fughe in avanti della Lega. Nella partita pensioni scende in campo il leader «nordista», che detta agli organi d’informazione i suoi diktat, abbastanza confusi da lasciar campo a diverse interpretazioni ma utili ai «richiami della foresta» del popolo padano. Poi, dal secondo vertice a Villa Spada tra Giulio Tremonti, Rocco Buttiglione, Gianni Alemanno e Roberto Maroni si diffondono voci non meglio identificate di accordo fatto, quadratura (o «quadra»?) trovata, pace sociale assicurata. Con un dettaglio da non trascurare: sulla Finanziaria nessuno dice niente. Non un numero, non una cifra, né tantomeno una stima. Eppure al summit partecipano anche il Ragioniere dello Stato Vittorio Grilli, e il commissario Inps Gian Paolo Sassi. Insomma, non è che le pensioni rivedute in modo «soft» (anche questo è da vedere) servono stavolta a non parlar di conti?

Ma torniamo alla supposta intesa. Per la verità i ministri non vanno oltre la formula di «accordo vicinissimo» (Maroni), parlano di «netta schiarita» (Alemanno), ma nel frattempo sugli organi d’informazione rimbalza il «messaggio-civetta»: intesa raggiunta, nessun blocco delle anzianità, nessun intervento in Finanziaria (in onore del «salvadanaio del nord», così Bossi definisce le pensioni), una stretta sulle invalidità e super incentivi. Ci vuole l’intervento di Rocco Buttiglione per ridimensionare l’euforia. «Stiamo lavorando alacremente - dichiara all’uscita il ministro per le Politiche comunitarie - Parlare di accordo mi sembra francamente prematuro». Tant’è che i quattro si rivedranno lunedì e al prossimo consiglio dei ministri non è previsto che si parli di previdenza.

L’accordo, dunque, non c’è ancora. Ma la strada per una mediazione sì. Il percorso è quello indicato (confusamente) da Bossi. Cioè eliminare dal 2008 l’opzione di andare in pensione con 35 anni di contributi e 57 d’età, lasciando un solo canale: 40 anni di contribuzione senza limiti d’età. Ma una formula così «secca» annunciata fin da ora provocherebbe un fugone fin da oggi: chi raggiunge prima del 2008 i 35 anni di contribuzione e i 57 d’età perché dovrebbe restare al lavoro? Per questo il blocco delle anzianità non si esclude affatto, anche se oggi le indiscrezioni teleguidate lo escludono recisamente. È assai probabile che si «giocherà» sulla formula (inventata da Baldassarri) dei «superincentivi obbligatori», che equivale a un blocco. Probabile anche che si scelga la strada della gradualità per la scelta dei 40 anni di contribuzione secca. In questo caso l’accelerazione servirà all’Italia per convincere Bruxelles di aver imboccato la strada delle riforme strutturali. Dunque, per chiedere maggiore flessibilità sul deficit. Ma qui si entra nell’area più grigia di tutta questa partita estiva. Nessuno sa esattamente cosa sta «cucinando» il Tesoro per la prossima Finanziaria, che sarà l’ultima in un periodo non elettorale.

Poco credibile l’intesa annunciata anche sugli altri punti. Il Welfare fa trapelare che si agirà sui pubblici e sulle invalidità, ma è assai improbabile che An e Udc tacciano su questi punti. Quanto agli incentivi voluti da Maroni, già si sono ridotti per i lavoratori: a loro andrà il 30%, mentre il 2,7 sarà per le imprese. Le quali avrebbero ottenuto anche il ritorno nella delega alla decontribuzione per i neoassunti dai 3 ai 5 punti, mentre il Parlamento ha già deliberato che si parte da 0 punti. Evidente che il pressing di Confindustria si è fatto sentire. A un Antonio D’Amato che chiede interventi drastici e risolutivi (cioè «tagli») sulla previdenza, Tremonti ha offerto denaro sonante da sottrarre soprattutto alle casse dell’Inps. Perché, sia detto una volta per tutte, sia la decontribuzione sia i cosiddetti incentivi li pagherà l’istituto di previdenza, che rinuncia ai versamenti dei giovani e dei vecchi. Tanto che si può dire che la vera sconfitta, in questa partita ad armi impari, è proprio la previdenza pubblica.

L’obbligo di versare il Tfr nei fondi pensione aperti farà il resto. Addio Welfare. Ma la strada è ancora lunga, e l’autunno è appena cominciato. È vero che la delega è alla seconda lettura in Senato. Ma l’emendamento che il governo si sta accingendo a scrivere apporta modifiche pesanti alla struttura del testo: la battaglia parlamentare è assicurata. Quanto ai sindacati, già hanno suonato i tamburi di guerra, mentre le contraddizioni all’interno della maggioranza sono tutt’altro che risolte. Al di là degli annunci, entro il 30 settembre bisognerà scrivere la Finanziaria e portare i conti a Bruxelles. Dove non è affatto detto che ci sia la disponiobilità ad accettare maggior deficit in Italia, che ci siano o meno le pensioni. In ogni caso una cosa è certa: durante la presidenza del semestre europeo il governo farà di tutto per scongiurare crisi e barricate nelle strade. Di qui all’autunno inoltrato si rincorreranno annunci su riforme soft: dalle pensioni al fisco. Tutto sarà «dolce». Ma i blitz non mancheranno, sia sulla Finanziaria (con il condono edilizio, definito «light»), sia sulle pensioni.




   

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