Politica dei redditi: Una tendenza che accomuna tutta l’Europa
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Giovedì 25 Gennaio 2001 commenti e inchieste pagina 7 Una tendenza che accomuna tutta l’Europa
di Tito Boeri
Renato Brunetta, sul Sole-24 Ore di ieri, sostiene che il sindacato sarebbe responsabile del basso livello dei salari in Italia, il che penalizzerebbe la competitività del nostro Paese. Il sindacato accetterebbe retribuzioni troppo basse in virtù di uno scambio politico che lo vede barattare salari più bassi per un ruolo condizionante nell’azione di governo. Gli strali lanciati da Brunetta contro il sindacato non coprono solo l’attualità. Si riscrive la storia degli ultimi dieci anni. La moderazione salariale non ci sarebbe stata d’aiuto neanche nelle tappe di avvicinamento all’unione monetaria. Potevamo arrivarci benissimo anche senza concertazione e politica dei redditi.
Le provocazioni intellettuali spesso sono utili, e quella di Brunetta è una provocazione. Ma offre un giudizio politico, non argomenti economici, né documentazione di supporto.
Cominciamo dai dati. In tutta Europa si è registrata negli ultimi vent’anni una forte diminuzione della quota dei salari sul prodotto lordo. Si parla di 10-15 punti percentuali in meno in molti Paesi, tra cui i più grandi dell’Unione. Non è un fatto solo italiano, dunque. Due le principali spiegazioni fornite per questo fenomeno, e sin qui non ancora smentite dalla ricerca empirica. Primo, vi è stata una diminuzione del potere contrattuale dei lavoratori, vale a dire esattamente l’opposto di ciò che sostiene Brunetta. Il declino della quota dei salari sul valore aggiunto è, infatti, proceduto di pari passo a una forte riduzione della presenza del sindacato, con riduzioni consistenti nei tassi di sindacalizzazione (in Italia siamo passati da metà dell’occupazione iscritta al sindacato a circa un terzo nel giro di vent’anni).
Secondo, il declino della quota distributiva dei salari sarebbe l’effetto di una graduale sostituzione di lavoro con capitale, a sua volta indotta da eccessive rivendicazioni salariali nel corso degli anni 70. Le imprese avrebbero reagito all’"autunno caldo", al maggio francese, eccetera, adottando tecnologie che contemplano più capitale e meno lavoro e che hanno una certa vischiosità. Dunque la successiva moderazione salariale non sarebbe stata ancora sufficiente a invertire la tendenza. Anche qui siamo agli antipodi di quanto scritto da Brunetta: è proprio perché in passato si è sparato troppo alto che la quota dei salari sul reddito è scesa.
Nulla di male a sfidare queste tesi e a proporre nuove spiegazioni della caduta della quota salariale. Ma che lo si faccia prestandosi al verdetto dei dati. E di statistiche nell’articolo di Brunetta non c’è proprio traccia. L’evidenza di immediata raccolta non sembra essergli a favore. I Paesi in cui nel corso degli anni 80 e 90 sono stati ripetutamente sottoscritti patti sociali, ispirati da politiche dei redditi — si pensi alla Finlandia, alla Norvegia e all’Olanda — sono proprio quelli in cui la quota dei salari sul prodotto è diminuita meno che altrove. Di contro, sono proprio Paesi senza patti sociali, come Francia e Germania, quelli che hanno subito negli ultimi vent’anni le perdite più consistenti. Anche il giudizio sulla nostra storia recente è quanto meno approssimativo. Vero che siamo entrati nell’euro in virtù di riduzioni degli oneri sul debito. Ma i costi del debito pubblico sono diminuiti proprio perché le aspettative inflazionistiche erano tali da permetterci di ridurre i differenziali nei tassi di interesse con le Germania. Con forti dinamiche salariali in atto ce lo saremmo sognato.
Infine, il giudizio politico. Si vuole sostenere l’opportunità di un decentramento della contrattazione? Bene. Sono d’accordo. Ma oggi è opportuno decentrare la contrattazione (non la previdenza, chiamata pure in causa da Brunetta) proprio perché siamo entrati nell’euro e le condizioni storico-economiche sono cambiate. Dato che siamo in un’unione monetaria che ci offre una stabilità macroeconomica altrimenti impensabile, possiamo oggi concentrarci sulle relatività, sui differenziali retributivi Nord-Sud e, per fare questo, abbiamo bisogno di strumenti di contrattazione più decentrati. Pensare alla storia come a un continuum serve solo a dare munizioni alla conservazione.
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