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Previdenza 2-Legge Dini nel guado-transizione
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lunedì 28 luglio 2003
PREVIDENZA MANCATA-Nel lungo periodo (2040-2050) si mostreranno con chiarezza errori di programmazione
Legge Dini nel guado-transizione
La riforma Dini è senza alcun dubbio una legge fortunata. Dalla sua approvazione ad oggi, è stata incastonata in un’icona, come se la Provvidenza stessa avesse retto la mano del Parlamento che lo approvò. Sono state le contingenze politiche a determinare tale stato di grazia.
Nel 1994 il tema delle pensioni contribuì a decretare la caduta del primo governo Berlusconi. Le confederazioni sindacali, con le loro lotte, tirarono la volata al disimpegno
della Lega. Prima di andarsene, tuttavia, il Cavaliere volle stipulare con Cgil, Cisl e Uil un accordo che, invero, somigliava a una resa senza condizioni, nel senso che l’esecutivo accettò tutto quanto gli fu proposto. Così, quando il Governo dei tecnici presieduto da Lamberto Dini affrontò la questione pensioni, i sindacati dovettero formalizzare,
sulla scia di quell’accordo, una precisa proposta, che divenne la traccia del disegno di legge di riforma. Il protagonismo dei sindacati fu tanto diretto che il Parlamento —
cosa mai vista al mondo — attese il risultato del referendum sindacale preventivo, prima
di porre il sigillo finale sulla legge. I fatti determinarono intorno al provvedimento
un’area di consenso ampia e trasversale.
L’impostazione di fondo era patrimonio comune della Cgil e della Quercia che si erano vagamente ispirate a un riordino previdenziale simile, in corso in Svezia; le altre due confederazioni si erano accontentate di qualche risultato secondario (Cisl e Uil pretesero
il mantenimento del calcolo retributivo per i lavoratori più anziani). La Lega appoggiava il Governo e disponeva di alcuni personaggi chiave inseriti nel gruppo di esperti e nelle Commissioni parlamentari. Persino Forza Italia, al dunque, non ostacolò la legge. Solo la Confindustria si ritrasse.
In realtà, si sapeva benissimo che il periodo della transizione era troppo lungo. Tanto
che, il Governo Prodi decise di rinegoziare con i sindacati i nodi delicati delle pensioni
di anzianità e dell’armonizzazione delle regole. In quella circostanza Prodi fu costretto
a concedere al Prc di Bertinotti (che minacciava di uscire dalla coalizione) molto di più
di quanto avrebbe potuto ottenere dai sindacati, i quali, da allora in poi, cambiarono atteggiamento e non vollero mai più confrontarsi seriamente coi Governi sulle pensioni.
La riforma Dini (ecco spiegati i colpi di scena delle ultime settimane) è figlia anche della Lega. Non a caso tra i suoi più tenaci difensori c’è il sottosegretario Alberto Brambilla, il quale coordinò (e lo fece seguendo una linea fortemente continuista e confermativa)
la commissione ministeriale incaricata, alla fine del 2001, di compiere la verifica sul funzionamento della riforma Dini.
Ma come stanno effettivamente le cose? La legge n. 335/1995 è senza dubbio un atto importante, ricco di spunti e di soluzioni. Stando agli accertamenti compiuti, è stato
pure possibile realizzare i risparmi previsti (28 miliardi di euro dal 1996 al 2000 ed
altri 12 miliardi circa dal 2001 al 2005). La maggior parte di tali risorse ha riguardato
le norme di contenimento delle pensioni di anzianità (31 miliardi di euro per l’intero decennio). Mette i brividi il solo pensare a quale scempio dei conti pensionistici sarebbe
avvenuto, in assenza di regole limitative di questo istituto sfascia-bilanci. Ma pesano anche le massicce entrate contributive della gestione dei parasubordinati e i risparmi
forzosi (i mancati benefici fiscali) connessi allo stentato decollo della previdenza
complementare.
Il vero limite del la riforma Dini, tuttavia, è scritto (più ancora che nella lunghezza
della transizione) nelle regole, a regime, del pensionamento unificato di vecchiaia, che
potrà avere inizio a partire da 57 anni. In sostanza, per un’assurda coerenza sistemica
costruita sul feticcio della pensione di anzianità e sul punto di arrivo, nel 2006, dei
relativi requisiti anagrafici, si sono create le condizioni per erogare, in futuro, pensioni
miserabili a persone ancora giovani. Le proiezioni attestano che un 57enne del
2040-2050 potrebbe percepire, se andasse in pensione, un trattamento pubblico di poco
superiore al 40% dell’ultimo reddito; tanto che dovrebbe costruirsi un adeguato secondo
pilastro, sempre che la solidarietà onerosa verso le generazioni precedenti gliene lasci
i mezzi. Per questo pensionato l’aspettativa di vita sarà di circa un quarto di secolo. Ciò
significa che, negli ultimi anni, la sua pensione, rivalutata alla sola inflazione, avrà perso
almeno la metà del suo valore. Ha senso preparare una prospettiva così grama
quando basterebbe adeguare, razionalmente, l’età di pensionamento alle dinamiche demografiche attese?
ARTEMIO RUGGERI
UN FILM ANCORA SENZA LIETO FINE: LE RIFORME VARATE NEGLI ULTIMI DIECI ANNI DAI DIVERSI GOVERNI IN CARICA
AMATO 1992
La legge delega 421/1992 del Governo Amato dà il via alla riforma del sistema pensioni:
- Innalzamento graduale dell’età pensionabile (65 anni per gli uomini e 60 per le donne) e del requisito contributivo minimo (da 15 a 20 anni); prime modifiche ai requisiti di pensionamento anticipato dei pubblici dipendenti.
- Periodo di riferimento, a regime, per il calcolo della pensione fissato col criterio del pro
rata a 10 anni per i lavoratori con un’anzianità pari o superiore ai 15 anni.
- Introduzione del criterio di reddito della coppia per il riconoscimento dell’integrazione al
minimo; normativa più favorevole per i lavori usuranti; nuova disciplina su previdenza complementare
(Dlgs 124/1993).
CIAMPI 1993
- Il Governo Ciampi con legge n.537/1993 introduce qualche correttivo: penalizzazione economica delle pensioni di anzianità del pubblico impiego, miglioramento normativa per il riconoscimento dell’integrazione al minimo, eliminazione dal calcolo della pensione degli anni peggiori e delega per la riforma degli enti previdenziali secondo il modello dualistico. Sono istituiti
l’Inpdap e l’Ipsema.
BERLUSCONI 1994
Altre novità con la legge 724/1994 del Governo Berlusconi.
-Pubblico impiego: indennità integrativa speciale nella base pensionistica e applicazione aliquota di rendimento del 2%.
- Privati: accelerazione andata a regime del pensionamento di vecchiaia a 65/60 anni.
I
DINI 1995
Il Governo Dini con legge 335/1995 prosegue la riforma pensioni.
- Sistema retributivo: si applica a coloro che al 31-12-1995 avevano un’anzianità contributiva pari o superiore a 18 anni. Per la pensione di anzianità si aggiunge un requisito d’età oltre a quello contributivo (35 anni) oppure il trattamento può essere ottenuto anche
facendo valere un’anzianità contributiva più elevata a prescindere dall’età anagrafica.
In sostanza, a regime, nel 2008, si potrà andare in pensione di anzianità con 35 anni di contributi e 57 anni di età oppure con 40 anni di versamenti a qualunque età.
- Sistema contributivo: si applica pro rata a quanti il 31-12-1995 avevano meno di 18 anni di versamenti e in toto ai nuovi assunti dal 1° gennaio 1996.
- Armonizzazione dei diversi regimi di retribuzione pensionabile, invalidità, lavoro
usurante, Tfr.
- Norme più restrittive di pensionamento anticipato del pubblico impiego.
- Istituzione presso l’Inps della Gestione dei lavoratori parasubordinati e presso l’Inpdap della Cassa dei dipendenti statali.
- Revisione norme previdenza complementare.
PRODI 1997
PRODI 1997
Il Governo Prodi, legge 449/1997 apporta modifiche.
- Armonizzazioni fondi speciali e pubblico impiego; revisione criteri di separazione tra
previdenza e assistenza; regole per pensionamento anticipato.
- Aumento contributi per autonomi, parasubordinati, fondi speciali.ATO 1992
CIAMPI 1993
BcERLUSCONI 1994