Professionisti fuori dall'agenda economica del governo
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ItaliaOggi (Economia e Politica) Numero 015, pag. 4 del 18/1/2003 Antonio Maria Leozappa (amleozappa@tiscali.it)
È emblematico notare come non solo nella Finanziaria ma negli stessi commenti alla Finanziaria le misure per il rilancio delle professioni siano state quasi del tutto ignorate. Sembra che il tema non interessi. Si discute di sostegno alle imprese, di detassazione degli utili di borsa, di agevolazioni per i nuovi imprenditori. Il governo e il parlamento ne dibattono; la stampa, specializzata e non, commenta. Ma sono poche, pochissime, direi rare, le voci che si alzano per richiamare l'attenzione su quell'1,7 milioni di professionisti che, quotidianamente, operano nel nostro paese. E parlando di 1,7 milioni di professionisti mi riferisco ai soli appartenenti al sistema ordinistico, il cui numero è certificato dall'iscrizione all'albo e non può essere messo in dubbio. Ma come non ricordare che a questi 1,7 milioni di professionisti si devono aggiungere tutti coloro che svolgono attività che non trovano (ancora) riconoscimento nella legge, ma di cui è ben noto l'apporto e il contributo all'economia? Penso ai pubblicitari, agli informatici, ai comunicatori di impresa, ai designer, insomma a tutte quelle figure professionali a cui il Consiglio nazionale dell'economia e lavoro ha cercato, in questi anni, di dar voce e il cui ruolo nel nostro sistema è sotto gli occhi di tutti. Ebbene, quale attenzione ha meritato questa forza produttiva nel nostro paese? Parlamento e governo stanno discutendo la riforma del diritto delle professioni intellettuali. È un passo importante, invocato da anni; ma chiaramente non può bastare. Soprattutto in un momento così difficile per la congiuntura nazionale e internazionale si rende indispensabile studiare una politica economica per le professioni, mettere a punto misure che le potenzino come una vera risorsa per il paese. Occorre semplificare i numerosi gravami che rendono sempre più burocratico il lavoro, incentivare la creazione e lo sviluppo degli studi, capire ciò che è necessario per farli crescere sul mercato, anche internazionale. Anche in questo caso è infatti emblematico notare come all'assoggettamento del professionista alle regole della concorrenza voluto dall'Unione europea non ha corrisposto l'adozione di misure che lo trasformassero in un vero protagonista di quel mercato al quale si vuole che partecipi. Perché ciò possa accadere non basta mettere mano alle norme degli ordinamenti professionali. È un inizio, importante, ma è anche indispensabile studiare misure tributarie, ideare meccanismi e strumenti finanziari che permettano ai professionisti, così come accade per imprenditori e artigiani, di svolgere la loro attività in modo competitivo. Il sostanziale silenzio della legge finanziaria sul punto, si diceva, è emblematico. Gli interventi in materia di professioni e professionisti si contano sulle dita di una mano, spesso occasionali, sono quasi sempre finalizzati a risolvere situazioni concrete. Basta scorrere la copiosissima normativa sugli incentivi economici per rendersi conto di quale parte risibile occupino i provvedimenti dedicati ai professionisti. Attenzione, qui non si vuol avanzare alcuna pretesa o rivendicazione ma piuttosto porre una questione: quella dell'ingresso delle professioni nell'agenda economica del governo. Solo se quest'ultimo si porrà la questione sapremo quanto le professioni possano costituire una risorsa per rilanciare l'economia del paese. E quanto la questione sia aperta appare chiaro e lampante quando si cerchi di individuare l'interlocutore istituzionale. Dopo la riforma del titolo V della Costituzione le regioni hanno responsabilità dirette in materia di professioni. Ma quante amministrazioni hanno istituito uno specifico assessorato, quante hanno previsto un soggetto responsabile dei rapporti con il mondo professionale? Stessa difficoltà si incontra laddove si cerchi un interlocutore nel governo centrale. Mentre al ministero della giustizia sono affidati compiti di vigilanza e controllo, la materia sembra investire le competenze delle attività produttive e del tesoro, ma anche del ministero del welfare. A ben vedere, è forse proprio questa la ragione ultima della difficoltà che incontrano le professioni a entrare nell'agenda di governo, a risultare destinatarie di un'autentica politica economica e a essere leva di politica economica. Ed è allora forse proprio questo il punto da cui occorre ripartire. |