16/11/2004 ore: 12:14
Quei turisti per caso
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Quei turisti per caso la Compagnia Italiana Turismo ha un mare di perdite. Ora si vorrebbe ridarla allo Stato La ciliegina sulla torta è un assegno da 6,2 milioni di euro. Il 23 giugno scorso il consiglio di amministrazione di Trenitalia si è impegnato a versarlo alla Cit, la Compagnia Italiana Turismo, che le Ferrovie hanno venduto nel 1998 a Gianvittorio Gandolfi. L’importo è stato fissato dagli arbitri chiamati a esprimersi su una controversia da tempo in atto fra il venditore pubblico e l’acquirente privato che contestava il valore di alcuni asset . E si può dire che alle Fs è andata anche bene, visto che la Cit di milioni ne aveva chiesti ben 16: metà di quella che era stata l’offerta (61,5 miliardi di lire) con la quale Gandolfi, sei anni fa, si era aggiudicata la società. Quanto le Ferrovie abbiano realmente incassato per un’operazione che alla luce dei fatti si è rivelata piuttosto discutibile, non è dato sapere. Ma certamente molto meno di 61,5 miliardi di lire. Intanto perché da quella cifra, per contratto, si detrassero le perdite dell’anno precedente (circa una ventina di miliardi). Poi c’era, appunto, il contenzioso: che ora ha ulteriormente ridotto il prezzo di 12 miliardi di lire. L’acquisto si rivelò all’inizio per Gandolfi un buon affare, visto che la sola cessione di Cit Inghilterra, conclusa qualche mese più tardi, gli avrebbe fruttato una cinquantina di miliardi. Sei anni dopo, però, il gruppo è al collasso. Così adesso c’è chi progetta di rispedire tutto al mittente. Cambiando solo destinatario: non più le Ferrovie, ma Sviluppo Italia. Esattamente come si faceva una volta, quando lo Stato prima vendeva le aziende ai privati, con tutti i paracadute possibili, e poi da quei privati se le ricomprava, decotte, ma pagandole a peso d’oro. La Cit fu privatizzata dall’ex amministratore delegato delle Fs Giancarlo Cimoli dopo il fallimento di un’operazione avviata precedentemente al suo arrivo. Il piano era di conferire la società a una holding nella quale Calisto Tanzi avrebbe riversato debiti per 180 miliardi di lire. Un dirigente delle Ferrovie, che all’epoca era consigliere della Cit, Roberto Cetera, denunciò lo scandalo e tutto saltò. La vicenda, che ha adesso originato una inchiesta della magistratura, finì rapidamente nel dimenticatoio. E Cimoli decise di mettere all’asta la società, che nella sua lunga storia aveva chiuso in utile un solo bilancio: quello del 1996, e unicamente grazie alle plusvalenze derivanti dalla vendita a Tanzi di tutte le agenzie italiane tranne quella della Camera dei deputati, che riforniva i politici di biglietti e vaucher. La gara fu vinta a sorpresa da Gandolfi, imprenditore che dichiarava di voler costruire intorno alle sua holding Progetto Italiano Spa un grande gruppo turistico nazionale. Il suo bellicoso proposito fu sancito dallo slogan «un’assunzione al giorno». Seguirono la quotazione al ristretto. L’ingresso della Accor nel capitale. L’acquisto dall’Alitalia dell’80% di Italiatour. Finché il gruppo cominciò a perdere colpi. E a novembre 2003, da «un’assunzione al giorno», si era passati alla mobilità per 173 dipendenti. In un anno e mezzo il gruppo Cit ha accumulato perdite per 71,6 milioni. Al 30 giugno scorso i debiti raggiungevano 224 milioni e il patrimonio netto era negativo per 4,8 milioni. La situazione è tale che la società di revisione Ernst & Young non ha certificato il bilancio semestrale consolidato. Nella relazione di cinque pagine che porta la data del 20 ottobre è descritto uno scenario allucinante. Si racconta, per esempio, che la Cit ha dovuto riacquistare dalla sua controllante Progetto Italiano Spa una serie di immobili che le aveva ceduto l’anno scorso, evidentemente allo scopo di alleggerire la posizione debitoria. Piccolo particolare: Progetto Italiano non aveva i soldi. Così, invece di migliorare i conti, racconta la Ernst & Young, «sono aumentati i debiti che peggiorano la situazione di tensione finanziaria già esistente». Non basta. I certificatori sottolineano l’«elevato ammontare di debiti di natura tributaria, commerciale e previdenziale, con termini scaduti e in presenza di richieste di rientro delle linee di affidamento bancario». Mentre anche le società estere versano in uno stato comatoso. La francese Cit Voyages è in amministrazione controllata, e fra le altre società straniere del gruppo «solo Cit Australia appare, allo stato, in grado di proseguire l’attività senza ricorso a interventi finanziari». La motivazione ufficiale di un intervento di Sviluppo Italia è che la società del Tesoro ha rilevanti interessi nel campo turistico. Ma la sostanza è che lo Stato dovrebbe sborsare una cinquantina di milioni di euro per rilevare oltre il 50% di una nuova società nella quale verrebbe conferito il gruppo Cit e che avrebbe come azioniste anche le banche creditrici. Una specie di massiccia ricapitalizzazione ricorrendo ai soldi pubblici. L’amministratore delegato di Sviluppo Italia, Massimo Caputi, avrebbe manifestato fiera opposizione, ma le pressioni che si scaricano sul tavolo del sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta, incaricato di seguire la faccenda, sono fortissime. E non è difficile capire perché. Intanto l’ideatore del disegno: si tratta di Ubaldo Livolsi, già manager di fiducia del proprietario della Fininvest, e ora presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, che da qualche anno si è messo in proprio. Livolsi conosce bene la situazione, trovandosi ora nei panni piuttosto singolari di un consulente chiamato a stilare il piano di salvataggio della stessa società, la Cit, della quale fino a luglio era presidente. E poi ci sono gli azionisti. Un gruppo nel quale, a fianco di Gandolfi e della francese Accor, ci sono pure Banca Intesa e Abaxbank. Senza contare che l’Alitalia detiene ancora una quota del 20% in Italiatour, società che nella prima parte dell’anno ha registrato anch’essa un andamento critico, con un ebitda negativo di 2,9 milioni. Negli ultimi due anni, inoltre, la compagine societaria della Cit si è arricchita di alcuni azionisti, di provenienza variegata ma dal nome non proprio sconosciuto. Stando all’ultimo elenco soci depositato il 30 giugno scorso, ci sono alcuni dirigenti delle controllate. Ma c’è anche Giuseppe Vimercati, già presidente del Mediocredito regionale lombardo, l’istituto che guidò l’operazione di acquisto della Cit da parte di Gandolfi (105 mila azioni). Poi c’è Gerolamo Bernareggi, ex presidente del Varese calcio (106.033 azioni). E Candia Camaggi, ex moglie del cugino di Berlusconi, Giancarlo Foscale, nonché ex responsabile della Fininvest service sa di Massagno, in Svizzera (24 mila azioni). Nell’elenco degli azionisti della Cit, infine, non poteva mancare il nipote di Giulio Andreotti, Luca Danese. Eletto alla Camera nel 1996 per le liste di Forza Italia, passò successivamente all’Udeur e ottenne l’incarico di sottosegretario ai Trasporti, il ministero che vigila su Ferrovie e Alitalia. Durante il suo incarico seguì con passione le vicende della compagnia di bandiera. E quando Gandolfi comprò Italiatour, l’agenzia di viaggi dell’Alitalia, Danese, che nel frattempo era rimasto senza un posto in parlamento, ebbe la poltrona di presidente. Ora risulta titolare di azioni per 24 mila euro. Sergio Rizzo |