18/6/2007 ore: 11:00
Ricucci: io e quel patto bipartisan sulle banche (1)
Contenuti associati
bipartisan sulle banche Ricucci è arguto, elusivo, cinico, disinvolto, spaventato, furbissimo, spudorato. Parla senza argini. Si contraddice. Dissimula. Cade in contraddizione. Si corregge. Ammette. Racconta, a volte, nel dettaglio. In qualche caso, rivela. Spesso insinua. E quando rivela, si morde subito la lingua e si nasconde: «Ma io che gli devo dire, ma scusi no? Mica siamo amici, io e lei. Ma io che ne so! Mi faccia uscire dalla galera e parliamo a cena e gli spiego le cose… Mica così, da pubblico ministero a carcerato? Ma scusi! Io già gli ho detto molto!». «Non c´è un caso, c´è solo rumore» L´abilità di D´Alema è nel passo laterale. Rievoca con sdegno il grumo di problemi lasciati marcire (ogni giorno "macinano" la vita di migliaia di italiani). Definisce «un´indecenza» le cronache. Liquida quelle conversazioni così: «Non solo non c´è un reato, ma non sono nemmeno moralmente sconvenienti». Conclude: «Non c´è un caso, c´è solo rumore». E´ vero. Sottratto al discorso pubblico il "caso", resta soltanto il rumore. Ma il "caso politico" c´è o non c´è? La questione sembra questa. «Gianni Letta chiamò D´Alema». Il presidente dell´Unipol minimizzava: «Ma no!, era accaduto che io non volevo più comprare il 2 e passa per cento di azioni Bnl di Vito Bonsignore. Bonsignore s´era rivolto a Gianni Letta (allora sottosegretario alla presidenza del Consiglio) e Massimo, in quella telefonata, mi riferiva la cosa chiedendomi di risolvere il problema. Presi così anche quel due per cento». Politici di campo opposto (Letta, D´Alema) concordano operazioni finanziarie che vengono accettate da finanzieri con interessi opposti (Consorte, Bonsignore). La scena conferma la concretezza di quel che Giuseppe Oddo e Giovanni Pons hanno definito "L´Intrigo" (Feltrinelli). Un disegno che va in scena tra la fine dell´inverno e l´estate del 2005 quando, frutto della confluenza di interessi e convenienze diverse e opposte, forze politiche, oligarchie bancarie, consorterie finanziarie si associano temporaneamente sotto banco, concertano le loro iniziative in modo opaco. I Ds di D´Alema vogliono rafforzare il mondo cooperativo affiancandolo alla Bnl. Vogliono trasformare Unipol in un grande attore della finanza e dell´editoria con l´acquisizione anche del Gruppo Riffeser (Nazione, Resto del Carlino, Giorno), come ammette anche Consorte quando è in vena di sincerità. Silvio Berlusconi vuole creare un polo bancario gradito alla Lega (Bpi, Antonveneta) e mettere le mani sul Corriere della Sera per contrapporlo al gruppo L´Espresso-la Repubblica e dopo il Corriere, sottratto alla presa di Mediobanca, forse anche Generali, chissà. L´Intrigo si avvantaggia dell´ambizione di Antonio Fazio di occupare al Colle la poltrona lasciata presto libera da Ciampi; della capacità di Gnutti, Consorte, Fiorani e (nome che non viene mai profferito) Francesco Gaetano Caltagirone di avere rapporti con tutti; di immobiliaristi o nouveaux entrepreneurs come Stefano Ricucci disponibili ad affrontare qualsiasi avventura se può procurare plusvalenze, denaro sonante tassato al 12 per cento, nel minor tempo possibile. Nell´affresco che Ricucci affida ai magistrati compaiono Berlusconi, D´Alema, Letta, Fassino, Prodi, Rovati, Fazio, misteriosi argentini, una banca enigmatica, qualche cappuccio massonico, banchieri che si accreditano su l´uno e l´altro fronte… Nelle migliaia di pagine dove sono trascritte le dichiarazioni del "furbetto", si intravede la qualità di un "caso" assai rumoroso in cui una politica debole e per nulla trasparente sostiene affari fragili e per nulla trasparenti nell´attesa che, rinforzati gli affari, si possa irrobustire anche la politica - come nucleo di potere e di autorità. Questo è il "caso" e non il rumore. «Era tutto un "Ciao Piero", "Ciao Massimo"» Via Barberini, Roma. Il quartier generale di Francesco Gaetano Caltagirone. Dal 14 luglio del 2005, sono al lavoro i sette del "contropatto" della Banca Nazionale del Lavoro. Sono lì chiusi da quattro, cinque giorni. Se la devono sbrigare con Gianni Consorte e Ivano Sacchetti di Unipol. Questa è la verità di Stefano Ricucci: «… Dotto´, chi parlava con la Banca d´Italia con il Governatore (Fazio), chi con Francesco Frasca (capo della vigilanza), quell´altro parlava con Fassino, quell´altro ancora parlava… Era un tutto "ciao Piero", "ciao Massimo". Non è che per me non sia positivo. In fondo, quell´operazione è un vantaggio politico, una fusione politica, un concetto del genere l´accetto, è una cosa buona… Poi, scusi eh!, Consorte si compra Bnl con i suoi soldi. Ne aveva i mezzi perché consideri che Unipol ha fatto un aumento di capitale di 2 miliardi e 6 di euro. Assolutamente sottoscritto, eh! … Che Unipol avesse avvertito prima e dopo e durante Fassino e D´Alema o quant´altro è pure giusto, ma che Caltagirone è il suocero di Casini e non l´avverte? Scusa, eh! Parlavano al telefono sempre, lì davanti a me. Caltagirone parlava con il suo genero di assegni, era tutto pubblico, noi stavamo lì davanti a tutti…». Ricucci, il furbetto, è arrivato al consesso con un´idea in testa, bella tosta e golosa: «Il prezzo fissato ad azione, era 2,40 euro. Volevano vendere a 2,40, gli altri. Tutti d´accordo. Io m´impuntai. Consorte salì a 2,70. Io dissi: se volete io vendo a 3 euro. Non è che mi potete convincere… Se voi volete, vendete voi, vorrà dire che io non vendo… Fecero l´iradiddio per due giorni, fino a quando Caltagirone mi dice: "Guarda, è un´operazione di sistema, è di qua, è di là"». (1.continua)
|