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Il nome inventato da D’Annunzio. Più volte distrutta, oggi entrano 9 milioni di persone all’anno e il fatturato sfiora i 300 miliardi
Rinascente, mezzo secolo per la città dello shopping
«Le scrivo in gran fretta. Parto fra mezz’ora per bombardare Grahovo. Ho condotto il mio gruppo a nove bombardamenti aerei in cinque giorni. Ho avuto 137 buchi nell’apparecchio. Mi sono abbassato a 150 metri per bombardare il nemico. Una scheggia cortese ha lacerato il mio guanto e mi ha leggerissimamente ferito alla nocca del polso...». Così il 24 agosto 1917, in una sobria lettera al suo avvocato, tra un bombardamento e l’altro, protetto da «invulnerabilità mistica» e senza sospettare che di lì a due mesi sarebbe arrivata Caporetto, Gabriele D’Annunzio propose e ad un tempo approvò l’idea: «Il titolo per la Società è questo. L’ho trovato ieri sul vallone di Chiapovan: La Rinascente. È semplice, chiaro e opportuno». Ipse dixit. E così il nuovo proprietario, Senatore Borletti, pagò senza fiatare le 5000 mila lire che l’immaginifico Vate, «in caso di disgrazia», aveva scritto fossero versate a tale «signorina Mazoyer». Del resto era un affare: mai nome di azienda commerciale fu più profetico. Perché La Rinascente che ha festeggiato l’altra sera i cinquant’anni della «nuova» sede di piazza Duomo, il grande magazzino che accoglie nove milioni di persone all’anno con un fatturato che supera allegramente i duecentosessanta miliardi, era già lì nel ’17, quando Borletti la rilevò, ed era già lì - con un nome diverso - quando i fratelli Bocconi, quelli dell’università, decisero di far fiorire una volta per tutte i loro commerci. Ha resistito al grande incendio nella notte di Natale del 1918, ha resistito ai bombardamenti del ’43. E ogni volta è rinata dalle proprie ceneri, come l’araba Fenice: «Oltre ad essere il più grande magazzino d’Italia, siamo fra i maggiori d’Europa, considerato che Lafayette o Harrow’s hanno pure i reparti cibo - calcola il direttore, Giuseppe Diana -. Vediamo un po’, nove piani più tre della parte giovani, 22 mila metri quadrati di vendita, 35 mila in tutto, ottocento persone che vi lavorano in media e quattro milioni e mezzo di scontrini staccati ogni anno...». Intuizione, senso degli affari, tenacia. La storia della Rinascente pare un compendio della Milano moderna. Con un prologo parigino, protagonista il signor Aristide Boucicaut, commerciante dal cervello fino che fra Rue de Sèvres e Rue du Bac s’era inventato il «Bon Marché»: ingresso libero, prezzi fissi e popolari, condizioni del tipo soddisfatti o rimborsati, insomma «le grand magasin» che spopolò ai quattro angoli del pianeta. Il primo a cogliere la novità, in Italia, fu un sarto di Lodi, tale Ferdinando Bocconi, che aveva aperto con il fratello Luigi un piccolo negozio di 25 metri quadrati in via Santa Radegonda. La ditta «Fratelli Bocconi» vendeva abiti già fatti, si trasferì in corso di Porta Nuova, tornò in centro nel 1877 ed infine puntò a piazza Duomo: il palazzo, cominciato nel 1887, era pronto due anni più tardi, la ditta «Alle città d’Italia» cominciava a fiorire. La prima disgrazia capitò nel 1896: il terzogenito di Ferdinando era un idealista, s’era messo in testa di partire volontario in Africa, lo fece e morì nella battaglia di Adua. La storia di Milano, si diceva: è a quel figlio che Ferdinando Bocconi decise di dedicare l’università fondata nel 1902. Morì nel 1908, l’azienda decadde, i figli tirarono avanti come poterono. Finché l’ultimo erede, Ettore Bocconi, decise di vendere al giovane industriale Senatore Borletti. Ecco, è a questo punto che comincia la storia della Rinascente vera e propria. Battezzata da D’Annunzio, la Spa nasce il 27 settembre 1917, in un salone della Banca Italiana di Sconto, con 16 milioni di capitale sociale. Pronti, via: un anno di lavoro a testa bassa nei vari magazzini e finalmente la filiale di piazza Duomo riapre, il 7 dicembre 1918, un mese dopo la Vittoria. Cose mai viste: il 13 dicembre arrivano 113.831 persone, la vigilia di Natale si resta aperto fino alle 22. Ma nella notte va tutto a fuoco, non si è mai saputo perché. Fatto sta che Borletti è un tipo tosto, «La Rinascente risorgerà!». Il 27 dicembre paga un annuncio sui giornali: «Post fata resurgo». E ricomincia. Altro palazzo, ferri battuti in stile liberty, sala da tè, pasticceria, perfino un’infermeria. La Rinascente è il cuore di un sogno milanese che passa la crisi del ’29 e cresce negli anni Trenta. Nel «La scoperta di Milano» Guareschi racconta cosa vuol dire «arrivare in Galleria nell’ora in cui la gente non esiterebbe a munirsi di piccone e a scavare dei condotti sotterranei pur di poter conquistare un aperitivo...». Poi arriva la guerra, un’altra guerra. La notte del 16 dicembre ’43 i bombardieri americani sfiorano le guglie del Duomo e inceneriscono pure il palazzo numero due. Ma la Rinascente non si chiama così per nulla, il Vate sapeva il fatto suo, così si ricomincia, per sei anni si usa come sede provvisoria il Palazzo della Ragione. Nel ’46, in piazza Duomo, si abbozza un primo adattamento. E pazienza se polemiche feroci accompagnano la costruzione dell’edificio numero tre, quello progettato da Aldo Molteni che il sindaco Greppi e il cardinale Schuster inaugurano il 4 dicembre 1950. Stavolta sono andati sul sicuro: è rivestito di marmo di Candoglia, lo stesso del Duomo. Nella sostanza, è l’ultima evoluzione dell’Araba Fenice, quella che duemila invitati hanno festeggiato l’altra sera, dopo cinquant’anni e qualche settimana perché sotto Natale non ci si poteva certo distrarre dagli affari: il simbolo del «boom» è ormai diventato un simbolo di Milano.
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Gian Guido Vecchi
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 Cronaca di Milano
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