Sindacati divisi sull’azionariato diffuso

sezione: ITALIA-LAVORO data: 2004-06-12 - pag: 18 autore: S.U.
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Sindacati divisi sull’azionariato diffuso |
MILANO • Dipendente e azionista. Il binomio spacca i sindacati che sulla partecipazione dei lavoratori al capitale dell’azienda hanno idee diverse. Il modello del quale la Cisl si dichiara «fautrice» non piace invece alla Cgil, e riscuote l’approvazione della Uil purché sia all’interno di un quadro ben chiaro di regole. «Considero l’azionariato diffuso — dice Giuseppe Casadio, segretario confederale della Cgil — un modello antico e un po’ ideologico. È chiaro che la contrarietà non è certo rispetto all’idea che i dipendenti siano anche investitori, ma sul fatto che diventino azionisti della propria azienda. Questo innesca un irrigidimento delle relazioni che crea più problemi che vantaggi e che non fa bene nè alle imprese nè ai lavoratori. Alle aziende — continua Casadio — perché si trovano ad avere più vincoli nel caso di riorganizzazioni, ai lavoratori perché così, rispetto alle sorti dell’azienda, si fanno carico di un doppio rischio: quello di risparmiatori e quello di dipendenti». Va oltre una dichiarazione di favore Raffaele Bonanni, segretario confederale Cisl che dice: «Della partecipazione noi siamo i primi teorizzatori, fa parte della nostra tradizione». Ma non solo secondo Bonanni, in una fase come quella attuale in cui si discute di una ripresa della concertazione, il tema della partecipazione dei lavoratori al rischio di impresa diventa centrale. «Senza questo requisito — dice — non esiste la possibilità di produrre beni di qualità». Vale a dire che la partecipazione può diventare un volano per l’economia. Il tema entra però anche nel confronto sulle retribuzioni e su questo Bonanni afferma: «La stretta correlazione tra salari e produttività è oggi una questione di grande importanza». Il modello piace anche alla Uil che però pone qualche distinguo. «Bisogna capire — dice infatti Adriano Musi, segretario generale aggiunto della Uil — come viene regolamentata, se cioè viene garantita la presenza dei dipendenti nei consigli di amministrazione». La questione secondo Musi è valutare se l’azionariato diffuso si traduce in un reale strumento di partecipazione alle scelte aziendali, «cioè alle decisioni — dice — sugli investimenti o a quelle che hanno una ricaduta occupazionale. Di fatto si tratta di capire se attraverso la partecipazione i lavoratori acquistano voce nelle scelte strategiche delle aziende». |
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