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Sindacati: le mani sul 5 per mille

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    26 luglio 2007 - Anno XLV N.30

    Pagina42/43/44 - Il nostro tempo

    Sindacati, le mani sul 5 per mille

    FINANZA CREATIVA Dietro il grande potere sindacale c’è anche un’enorme disponibilità economica. Ora ancor più cospicua con l’introduzione del contributo alle onlus. Dove, nonostante una legge del 1997...

    CARLO PUCA
      A Trapani, in piazza Ciaccio Montalto 27, c’è il Centro elaborazione studi europei e territoriali. Altrimenti detto Ceset, si dichiara ufficialmente una onlus, cioè una «organizzazione non lucrativa di utilità sociale». Insomma, una di quelle meritevoli associazioni che producono volontariato o ricerca scientifica senza fini di lucro. Il Ceset ha ottenuto un clamoroso exploit nelle dichiarazioni dei redditi per il 2005: 7.304 persone lo hanno scelto per devolvere il 5 per mille dalla propria dichiarazione dei redditi.

      Se si considera che la città ha 70 mila abitanti, circa il 30 per cento dei contribuenti trapanesi ha premiato il Ceset per le sue ricerche europee e territoriali, purtroppo sconosciute a internet. Il Centro ha invece un presidente conosciuto: si chiama Mario Tessitore e di mestiere fa il sindacalista. Più precisamente è segretario cittadino della Cisl. E guarda caso la sede trapanese del Caf, il centro di assistenza fiscale cislino, è sempre in piazza Montalto 27, negli stessi uffici del Ceset (o viceversa).

      Psicologicamente, si tratta di un classico caso di sdoppiamento della personalità (giuridica). Penalmente, sia chiaro, non c’è nulla di rilevante. Amministrativamente, il caso è invece al vaglio dell’Agenzia per le entrate, che ha inserito il Ceset tra le onlus «non validate», cioè prive per il momento di tutti i requisiti richiesti.

      Forse basterà un’autocertificazione, forse no, a risolvere il problema di Tessitore. Certo è che non si tratta di spiccioli. Da un primo calcolo di Carlo Mazzini, grande esperto di legislazione non-profit, sarebbe «intorno ai 25 euro il valore di ogni preferenza espressa con il 5 per mille».

      Un tesoro che sindacati e sindacalisti hanno puntato. D’altronde parliamo di una Triplice sindacale che fa la cresta con le organizzazioni europee, dichiarando circa 3 milioni di associati in meno rispetto ai 10,5 milioni dell’Italia. Il motivo? Risparmiare sulle quote d’iscrizione alla Ces, la Confederazione europea dei sindacati, parametrate al numero degli iscritti.

      Non bastavano poi gli introiti già noti, tra convenzioni con i Caf (85 milioni di euro l’anno, 14,33 euro per dichiarazione dei redditi), i finanziamenti ai patronati (lo 0,226 per cento dei contributi versati dai lavoratori), la gestione dei fondi pensione, le società di servizi. Non bastava il privilegio di poter secretare i bilanci (i sindacati non hanno l’obbligo di pubblicazione). Non bastano, infine, i denari che i confederali fanno spendere allo Stato per difendere le loro minoranze, pensionati e dipendenti pubblici, come ha denunciato per ultima il ministro Emma Bonino. Ci volevano pure i denari del volontariato.

      Eppure, la legge parla chiaro: i sindacati non sono onlus. Il decreto 460 del 1997 li esclude tassativamente dalle agevolazioni fiscali previste per ong, associazioni e ricerca scientifica. E la Finanziaria 2005 li esclude ugualmente dalla possibilità di godere del 5 per mille. Ma usciti dalla porta della legge, Cgil e Cisl sono rientrate per la finestra delle associazioni a loro collegate, utilizzando uno straordinario mezzo di propaganda e pressione come i Caf.

      D’altra parte, tranne la Uil di Luigi Angeletti, tutti i gestori di Caf hanno capitalizzato. Le Acli di Andrea Oliviero hanno raggiunto quota 228.829 preferenze, il Movimento cristiano lavoratori di Carlo Costalli è arrivato a 109.748. E nei centri di assistenza fiscale la percentuale di italiani che versano il 5 per mille sale fino all’80 per cento, rispetto alla media nazionale del 60.

      L’Arci, che ha 1 milione di iscritti ma non ha Caf, ha raccolto la miseria di 10.500 indicazioni. Per il presidente Paolo Beni la causa è evidente: «La competizione con chi conta su Caf e patronati è squilibrata».

      Ma Acli e Mcl non sono sindacati, quindi non sono esclusi dal decreto del 1997, a differenza di Cgil e Cisl, scese in campo utilizzando metodi perlomeno discutibili. Come quelli segnalati dal settimanale Vita, la bibbia del non-profit. Il suo direttore Riccardo Bonacina è il padre «giornalistico» del 5 per mille. Pur difendendo la legge, ha pubblicato le lettere di chi si è scontrato con l’ostilità dei Caf. I metodi utilizzati sono diversi. Il più denunciato è l’esclusione selettiva, e va spiegato.

      Per la donazione diretta del 5 per mille, deve tassativamente essere indicato il codice fiscale dell’associazione. Ma il sistema informatico dei Caf sindacali ne «riconosce» soltanto alcuni: quelli delle loro onlus di riferimento e, per evitare problemi «politici», quelli di grandi associazioni come per esempio Airc e Unicef. Così vengono automaticamente tagliate fuori migliaia di piccole associazioni territoriali o, secondo le accuse, realtà sgradite.

      È capitato anche all’associazione Luca Coscioni: «Il software dei Caf non accetta il nostro codice fiscale» hanno lamentato gli amici di Emma Bonino, casualmente avversaria dei sindacati. Per i quali non valgono soltanto i casi limite delle associazioni fai-da-te come il Ceset.

      Basta guardare alle classifiche ufficiali del 5 per mille. L’Auser (associazione per l’autogestione dei servizi e la solidarietà), costola del sindacato pensionati Spi-Cgil, ha ottenuto 184.143 preferenze, il secondo posto (dietro l’Anpas) nel settore del volontariato e il quinto in assoluto, comprese ong e ricerca. Per il presidente Michele Mangano il risultato è buono ma non eccezionale: nel 2007 l’obiettivo è di 200 mila preferenze, considerato che «in molte regioni i nostri associati hanno preferito devolvere il 5 per mille ai servizi sociali dei comuni».

      Un’opzione esercitata soprattutto nelle regioni rosse. Ma siccome da quest’anno la scelta a favore dei municipi è abolita, e le regioni rosse sono fortemente sindacalizzate, c’è da scommettere che il tetto di 200 mila verrà ampiamente superato.

      Sempre di area Cgil è la Federconsumatori promossa dal sindacato di Guglielmo Epifani: è fuori dalla top ten, ma pure ha ottenuto 13.638 adesioni.

      Al nono posto nel volontariato, con 22.037 devoluzioni accertate, c’è l’Anolf, associazione di immigrati cislina. Meglio ancora è andato l’Iscos, l’istituto sindacale per la cooperazione allo sviluppo, arrivato a quota 25.948.

      Di diretta emanazione della Cisl sono anche l’Ente turistico sociale italiano (1.625 preferenze) e l’Adiconsum, i cui 15.766 fan dovranno attendere: l’associazione di consumatori cislina è temporaneamente parcheggiata tra i «non validati».

      Poco male per il sindacato di Raffaele Bonanni. La campagna pressante sul 5 per mille, lanciata tra aprile e maggio del 2006, ha trovato sfogo soprattutto nell’Anteas, associazione nazionale terza età attiva per la solidarietà, classificatasi quinta nel volontariato con 70.439 preferenze. Sul sito, l’Anteas si descrive come «associazione ispirata dalla Fnp-Cisl», i pensionati del sindacato cattolico. Poi, sempre online, c’è un po’ di storia: «Anteas è nata nel 1996. Nel 2003 è stato varato il nuovo statuto associativo per consolidarne la crescita, all’insegna della solidarietà». Crescita e solidarietà: ma proprio nel 2003, quando si è cominciato seriamente a parlare di 5 per mille. Un’ennesima casualità.

      Ora però il fato vuole che Stefano Zamagni, presidente prodiano dell’Agenzia per le onlus, stia mettendo mano al regolamento d’attuazione del 5 per mille. Dice Zamagni: «Il mercato delle donazioni è oligopolistico. Serve più equilibrio tra piccoli e grandi. E ci vuole il rating etico».

      Sì, ci vuole. Alla faccia del destino cinico e (soprattutto) baro.

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