Tfr: la rivolta delle assicurazioni
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venerdì, 23 settembre 2005
Riforma del Tfr, la rivolta delle assicurazioni
L’Ania definisce incostituzionale il provvedimento. Maroni raggiunge l’intesa con le banche
Roma
CHIUSO UN FRONTE, quello con le banche, per la riforma del Tfr se ne apre un altro. Non solo le dimissioni di Siniscalco costringono il Welfare a cercare un’intesa con il nuovo (nuovo?) inquilino di via Venti Settembre per la definizione della copertura finanziaria che ancora manca. Ma si dovrà fare i conti con l’eccezione di incostituzionalità sollevata dall’ Ania (assicurazioni), che definisce il provvedimento «iniquo e immorale». La giornata di ieri è cominciata con la notizia dell’intesa raggiunta tra il ministero del Welfare e l’Abi sulle modalità di accesso al credito per le imprese che dovranno rinunciare alla forma di autofinanziamento rappresentata dall’accantonamento delle liquidazioni dei lavoratori. Le banche si sono impegnate a far credito (tasso massimo di interesse 4,15%) per l’equivalente del Tfr trasferito ai fondi, alle imprese che non siano sull’ordo del fallimento e non abbiano procedure concorsuali. L’intesa non è però bastata a convincere Confindustria che con il vicepresidente Bombassei ha rinnovato la propria preoccupazione e non ha sciolto la riserva di giudizio («resta sospeso»). L’Ania invece ha accusato il governo di aver scippato il Parlamento con un decreto non coerente con la delega e che viola le regole sulla concorrenza. Così oltre che alla Consulta, l’Ania minaccia di rivolgersi anche al Garante. Le assicurazioni non digeriscono che il decreto non faciliti i loro prodotti, le polizze. «Se il contributo al lavoratore (tra il 2 e il 4% della retribuzione lorda) - dice il presidente Fabio Cerchiai - viene concesso solo se il suo Tfr va ai fondi previsti dai contratti collettivi, ciò significa discriminare gli altri fondi. E si minaccia la libertà di scelta del lavoratore». Una posizione ribadita dal direttore generale Giampaolo Galli che ha polemizzato con i sindacati i quali gli ricordavano - lo ha fatto il numero due della Uil Adriano Musi - come il contributo del datore di lavoro a chi aderisce al fondo negoziale sia previsto nei contratti e «rompere questo meccanismo è irresponsabile». «Volere una legge che indichi i soggetti sociali come “promoter” del contributo e le assicurazioni come gli “esattori” è a dir poco risibile», afferma Musi.
L’Ania non ci sta e si appella al Parlamento. Il ministro Roberto Maroni fa sapere di non essere preoccupato «l’opinione dell’Ania sarà smentita dai fatti». Al contrario, il titolare del Welfare si dice soddisfatto dell’intesa con l’Abi e con il solito ottimismo dice di marciare spedito verso il consiglio dei ministri del 30 settembre per l’approvazione definitiva. Quanto al giudizio di Bruxelles che potrebbe bocciare le compensazioni alle imprese in quanto «aiuto di Stato», il ministro ha detto che «avremo modo e tempo di chiarire».
fe.m.
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