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Relazione F. Martini Comitato Direttivo FILCAMS CGIL, 17/06/2009

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Direttivo Nazionale Filcams - Roma, 17 giugno 2009
Relazione introduttiva di Franco Martini


Il Comitato Direttivo è chiamato oggi ad assumere una decisione formale sulla questione del Ccnl separato del terziario, siglato il 18 luglio senza la nostra organizzazione.
Arriviamo a questo appuntamento al termine di un percorso le cui tappe sono state discusse e vissute dall’intera categoria, dai suoi gruppi dirigenti, dai quadri e delegati ed è con questo livello di coinvolgimento dell’organizzazione che vorremmo sostenere e verificare le decisioni che oggi andremo ad assumere.

Il confronto sostenuto in questi mesi con Confcommercio, Fisascat e Uiltucs è approdato nei giorni scorsi ad una sintesi unitaria, che risponde positivamente all’obiettivo che ci eravamo dati, fin dallo scorso 18 luglio, lavorare nella trasparenza e nella coerenza con le nostre posizioni, alla ricomposizione della vicenda contrattuale, innanzitutto, nell’interesse delle lavoratrici e dei lavoratori destinatari di quel contratto.
Una sintesi unitaria, nella situazione determinatasi con la rottura del 18 luglio, non può che essere un compromesso tra le diverse posizioni, ognuno di noi è sufficientemente maturo per capirlo. Ma fin dal primo momento abbiamo sostenuto che tale compromesso non avrebbe mai potuto essere, in alcun modo, un prodotto confuso, pasticciato, ambiguo, lontano dal cuore dei problemi che avevamo sollevato. Abbiamo lavorato per questo, in tutti questi mesi, ad una soluzione che, pur rispettando le posizioni di tutti, pur facendosi carico del fatto che non era e non è con abiure, né con mortificazioni che la situazione avrebbe potuto essere sanata, desse –però- una risposta sostanziale alle nostre critiche.

Il giudizio della Segreteria è che l’ipotesi di accordo cui è giunto il confronto contenga questa soluzione, in termini sufficientemente chiari ed espliciti, ma, soprattutto, in grado di aprire una fase nuova rispetto a quella che andava caratterizzandosi nel contesto dell’accordo separato.
Per questo, la Segreteria chiede al Direttivo di esprimersi positivamente sulla soluzione individuata e di avviare immediatamente il percorso di confronto e validazione democratica, al termine del quale formalizzeremo la nostra decisione.
Ed al tempo stesso, chiede al gruppo dirigente di impegnarsi a fondo per valorizzare il risultato ottenuto, in quanto frutto, innanzitutto, dell’iniziativa messa in campo dalla Filcams in tutti questi mesi.

Vorrei, per questo, offrire al Comitato Direttivo un quadro del ragionamento, che segua il filo della coerenza da noi mantenuto fin dall’indomani della firma separata.

Le ragioni che ci hanno portati a non condividere l’intesa per il rinnovo del Ccnl –le ricordo brevemente- sono state di merito e di metodo.
Di merito, in quanto sui due punti noti, lavoro domenicale ed apprendistato, l’intesa ledeva diritti da noi considerati fondamentali.
Di metodo, in quanto si è venuti meno ad un patto unitario, che prevedeva le modalità attraverso le quali ricomporre i dissensi, sia in fase di negoziato, attraverso la sospensione temporanea della trattativa, sia in presenza di una intesa, attraverso la consultazione delle lavoratrici e lavoratori.

Sul merito, il punto più critico era rappresentato dal tentativo di ridurre il ruolo della contrattazione di secondo livello, a partire da quella aziendale, sul lavoro domenicale. Si è cercato di dipingere la nostra organizzazione come contraria o, piuttosto, sorda alle esigenze di prevedere per la prestazione lavorativa domenicale una gestione più equa ed equilibrata fra vecchi e nuovi assunti. Si è teso a rappresentare la Filcams come sindacato preso in ostaggio dallo “zoccolo duro” dei lavoratori della grande distribuzione, il sindacato dei vecchi contro i giovani.
Ne sono seguite interpretazioni del nostro dissenso di merito forzate e caricaturali, come, ad esempio, la semplificazione del giudizio da noi dato sulla norma contrattuale, che avrebbe reso obbligatorio il lavoro domenicale. Dire che il Ccnl separato rendeva obbligatorio il lavoro domenicale o che modificava il trattamento economico, non era dire una cosa inesatta, ma quella in realtà era la conseguenza, tant’è che il nostro obiettivo, anche parlando di volontarietà, parlava di un diritto ben più consistente.

Si è, volutamente, confusa la causa con l’effetto! In realtà, il diritto che noi abbiamo voluto difendere e che quell’intesa –a nostro giudizio- metteva in discussione era quello di mantenere nella sede contrattuale di secondo livello la titolarità negoziale, dove fino ad allora si trovavano le soluzioni.

L’esperienza contrattuale di questi anni presenta una vasta antologia di soluzioni sul lavoro domenicale, dove c’è di tutto e di più, criticabile o meno, ma in ogni caso frutto della contrattazione aziendale.
Sappiamo che la controparte da tempo insegue la possibilità di estendere il lavoro domenicale non solo a chi è stato assunto con l’obbligo della prestazione e cerca di ottenere questa possibilità senza troppe discussioni; sappiamo soprattutto che le aziende inseguono tale possibilità riducendo il costo della prestazione, mettendo in discussione le maggiorazioni esistenti, fino ad ottenere il lavoro domenicale quale prestazione lavorativa ordinaria.

Tra le aziende della grande distribuzione e questo obiettivo c’era di mezzo la contrattazione aziendale ed era questo ostacolo che si è cercato di rimuovere con l’intesa separata.
Non a caso il tema della ultrattività degli accordi aziendali è stato uno dei temi che ha polarizzato la polemica immediatamente successiva alla firma dell’intesa separata.

Fin dal primo momento, dunque, il nostro primo obiettivo e, direi, quello centrale è stato di difendere gli accordi aziendali e riconquistare la piena titolarità contrattuale del secondo livello sul lavoro domenicale, come parte dell’organizzazione del lavoro.
Sul tema dell’ apprendistato il tema era noto, non abbiamo condiviso la soluzione sulle ore di permesso, equivalente ad un aumento dell’orario di lavoro e il doppio regime tra vecchi e nuovi assunti.

Queste sono le ragioni che non ci hanno portato a condividere quell’intesa, così come non abbiamo condiviso la dinamica, contraddittoria ed equivoca, che nel breve volgere di una nottata a ribaltato l’impostazione unitaria, senza possibilità di verifiche con lavoratrici e lavoratori, ma, direi, neanche con i quadri dirigenti delle strutture.

Sappiamo che l’evento consumatosi il 18 luglio ha rappresentato per tutta la nostra organizzazione uno shock, sarebbe sbagliato negarlo.
Innanzitutto, perché il nostro settore non aveva mai vissuto, nel rapporto con Cisl e Uil di categoria, sbocchi così traumatici, si è detto, giustamente, che gli accordi separati non appartenevano alla nostra tradizione, alla storia unitaria di questa categoria.
Ma vale anche sottolineare il fatto, sicuramente più significativo dell’eredità passata, che un quadro di relazioni sindacali e contrattuali caratterizzato da significativi elementi di criticità nei rapporti unitari, in un settore caratterizzato da non pochi elementi di debolezza e fragilità, dovuti all’alto livello di precarietà e flessibilità del lavoro, avrebbe reso più difficile e meno efficace l’azione di tutela del sindacato. Di questo, tutto il quadro dirigente della Filcams è stato fin dall’inizio pienamente consapevole.

Per queste ragioni, l’iniziativa che abbiamo messo in campo fin dal giorno successivo all’intesa separata si è mossa in due direzioni: la prima, rappresentare la nostra posizione di dissenso alle lavoratrici ed ai lavoratori del terziario e rivendicare una modifica del Ccnl separato; la seconda, perseguire con tenacia l’idea di ricostruire, su basi chiare e trasparenti, un nuovo rapporto unitario con Fisascat e Uiltucs.

Dobbiamo dire, io per primo, essendo stato il primo compito con il quale mi sono dovuto cimentare appena giunto in categoria, che questa seconda direzione di marcia è apparsa fin dall’inizio difficile ed improbabile. Nelle prime settimane e nei primi mesi hanno pesato sia tensioni e risentimenti interni al settore, sia un clima generale dei rapporti unitari che volgeva al peggio, tant’è che l’accordo separato del terziario è stato rappresentato come il primo atto della nuova stagione sindacale, che ha portato poi all’intesa separata sulla riforma del modello contrattuale, passando per altre rotture.
Noi, non abbiamo mai abbandonato l’obiettivo della ricostruzione dei rapporti unitari, ma obiettivamente e realisticamente, in quella prima fase non rappresentava un dato della realtà.

Contemporaneamente, abbiamo messo in campo una grande iniziativa della Filcams, di confronto e di mobilitazione nella categoria, che a buona ragione potrà essere ricordata non solo come una delle pagine più esaltanti della nostra storia recente, ma, soprattutto, come una delle condizioni che successivamente ha reso possibile la maturazione delle nuove condizioni, che ci consentono oggi di parlare di una possibile soluzione positiva della vicenda. Come dirò in seguito, in modo più esplicito, senza questa iniziativa non avrebbe mai potuto esserci una soluzione sulla quale stiamo discutendo oggi.

Abbiamo svolto centinaia di assemblee, importanti non solo per far esprimere l’opinione, in questo caso di dissenso, su una soluzione contrattuale non condivisa dagli stessi lavoratori, ma ancor più per rappresentare una condizione di disagio sul lavoro in questo settore, per aggiornare la stessa nostra lettura sui processi in corso nella stragrande maggioranza dei luoghi di lavoro, cosa utile e necessaria soprattutto per attrezzare e qualificare la nostra azione in vista della stagione contrattuale di secondo livello.
Questa massiccia campagna di assemblea ha avuto quale effetto, oltre al pronunciamento sull’accordo separato, quello di rinsaldare il nostro rapporto con i lavoratori e i delegati, abbiamo avuto un ritorno in termini di fiducia e legittimazione. Questa fiducia ha un grande valore per noi e l’impegno a non disperderlo o “tradirlo” è stata la guida del nostro agire successivo.

Abbiamo svolto uno sciopero ed una manifestazione nazionale all’esito della quale forse pochi credevano. Credo che quel 15 novembre, quel corteo per le vie di Roma, quella Piazza Navona rimarranno per un po’ negli occhi e nella mente di tanti di noi. Con quella manifestazione abbiamo dimostrato che la Filcams era in campo, che non demordeva, che si sarebbe fatta sentire, nel Paese ed in tutti i luoghi di lavoro. I nostri osservatori-interlocutori avevano probabilmente messo nel conto che dopo il 18 luglio avremmo sfogato un po’ della nostra rabbia e, lentamente ed inesorabilmente, avremmo imboccato la via della normalizzazione. Si è scomodato anche il cambio al vertice della Filcams per dare per scontato che la nostra organizzazione sarebbe “rientrata” nel contratto.
Questa manifestazione è servita anche a far uscire dai meri confini categoriali la problematica del nostro settore ed è stato importante il coinvolgimento della Confederazione.

Ma la Filcams è stata in campo soprattutto nell’iniziativa “corpo a corpo” nelle aziende, cercando di attuare nel modo più diffuso uno degli obiettivi che ci eravamo dati all’inizio, contrastare sul campo la normativa del contratto separato, impedendone l’automatica attuazione, in particolare sul lavoro domenicale, a fronte del meccanismo dei 4 mesi previsto nella normativa.
Credo che a questo livello si siano, giorno dopo giorno, create le condizioni per riconquistare una maggiore forza di interlocuzione con chi ci aveva escluso a luglio dello scorso anno.
In sintesi, possiamo dire che a livello aziendale, mediamente, si sono dimostrate tre cose: che per Confcommercio e Federdistribuzione non sarebbe stato così semplice far passare la normativa, agitando semplicemente l’accordo separato; che altrettanto complicato si sarebbe rivelato per Fisascat e Uiltucs farlo con una parte significativa della loro base; che con noi tutti avrebbero comunque dovuto fare i conti.
La Filcams, operando una forzatura, avrebbe potuto essere tenuta fuori dal tavolo nazionale, ma molto più complicato sarebbe stato per le aziende tenerci fuori dalle trincee quotidiane.

Nella prima fase, durante i primi mesi di vita del Ccnl questa difficoltà non è emersa in tutta la sua consistenza, proprio in ragione del meccanismo dei 4 mesi, che noi ci siamo guardati bene dal legittimare. Successivamente, quando le aziende hanno cominciato ad esigere, a pretendere l’attuazione della normativa, ha cominciato a prendere consistenza il “rinculo” e per tutti, fare quel contratto è apparso sempre più come aver fatto i conti senza l’oste.

Massiccia campagna di assemblee, grande manifestazione, azione di contrasto in azienda hanno –dunque- rappresentato le mosse che ci hanno permesso di uscire da una posizione che avrebbe potuto isolarci ed indebolirci e che, soprattutto nel merito, hanno dimostrato limiti intrinseci della norma stessa. Su questa impostazione abbiamo costruito una nostra oggettiva posizione di forza.

Gli appelli alla ricomposizione unitaria, ad un certo punto, hanno cominciato a riproporsi con maggiore consistenza e toni diversi, più concilianti, sia da parte sindacale, che di Confcommercio, nonostante sui territori le tensioni nei rapporti con le altre strutture sindacali si facevano giorno, dopo giorno sempre più forti.

Credo che a questo punto, la nostra discussione abbia affrontato per il verso giusto la questione: come capitalizzare questa forza, accumulata nell’iniziativa di tutti questi mesi, in direzione degli obiettivi che ci eravamo dati, ivi compreso il tentativo di ricostruzione di un quadro di rapporti unitari.

Abbiamo provato, in un primo tempo, a percorrere la strada indicata fin dai primi momenti successivi all’intersa separata, la richiesta di una modifica dei due testi da noi non sottoscritti. Dobbiamo ammettere che questa strada, che si delineava già complicata fin dall’inizio, lo è diventata ancor più, fino a divenire impraticabile, con il passare dei mesi, poiché, diventava oggettivamente difficile per i nostri interlocutori, che nei loro organismi avevano già approvato i testi contrattuali, decidere una sorta di abiura.
Su questo terreno, il tentativo non aveva prodotto altro che la disponibilità a ritocchi del tutto insignificanti, assolutamente distanti da una soluzione che, pur salvando l’onore di tutti, offrisse una risposta convincente alle nostre posizioni.

I compagni sanno che, abbandonata la strada di una modifica dei testi, per un certo periodo, coincidente, tra l’altro e non casualmente, con lo svolgimento del congresso Fisascat, io stesso avevo ritenuto non più praticabile l’obiettivo di una ricomposizione unitaria. Tra l’altro, si trattava del periodo in cui andava maturando l’accordo separato sul modello contrattuale. Sul tavolo di Confcommercio, gli appelli alla ricomposizione si moltiplicavano, ma non andavano oltre alla ritualità, per quanto ispirati a volontà più o meno sincere.

Dobbiamo dire che il cambiamento significativo dello scenario economico e congiunturale, l’esplosione della crisi, ha offerto una nuova opportunità, che abbiamo voluto non farci scappare.
Pur senza riconoscerlo esplicitamente, tutti gli attori dell’accordo separato, di fatto ammettevano l’inconcludenza di quell’operazione, una sorta di fallimento. Chi l’aveva voluto, Federdistribuzione in primis, si ritrovava con un pugno di mosche in mano e in una situazione a dir poco imbarazzante, perché la crisi stessa sollecitava le aziende a ricorrere al massimo delle aperture domenicali e questa spinta non faceva altro che “girare il coltello nella piaga” in coloro che quell’operazione avevano assecondato.
Credo che la nostra scelta di giocare la carta della crisi, per far rientrare dalla finestra ciò che era stato fatto uscire dal portone, sia stata giusta per due motivi: il primo, perché agiva su un terreno vero, su un dato della realtà, che chiamava in causa la problematica sul quale ci eravamo spaccati, il ruolo della contrattazione sui processi organizzativi aziendali, compreso il lavoro domenicale; il secondo, perché offriva a tutti una via di uscita sostenibile, spostando in avanti lo scenario. La polemica contrattuale, di fatto, per tutti era diventata sabbie mobili.

Voglio ribadire davanti a tutto il Direttivo che, quando come Segreteria abbiamo deciso di intraprendere questo percorso, abbiamo sempre mantenuto come bussola la ricerca di una soluzione pulita, non pasticciata, trasparente, in ogni suo punto, perché la fiducia dei lavoratori la si ripaga dicendo le cose come stanno, quelle buone e quelle meno buone. Una soluzione, che sia un compromesso, può anche non essere soddisfacente al 100%, se la si ritiene tale, ma non va mai contrabbandata per ciò che non è. Ed aver mantenuto la barra dritta su questo punto cardinale ha reso possibile in tutti i suoi passaggi una discussione serena tra noi, leale e trasparente.

Per noi, una soluzione non pasticciata, trasparente era ed è quella che chiarisce l’intangibilità di un diritto leso e che lo fa sia politicamente, sia formalmente, in fase di stesura del contratto.
Da questo punto di vista voglio subito dire che, per quanto il risultato che abbiamo ottenuto e che oggi discutiamo, sia dal nostro punto di vista decisamente rispondente alla centralità delle questioni poste, e dunque da condividere e sostenere con convinzione, esso si presenta differenziato, molto soddisfacente sul tema del lavoro domenicale, mentre mantiene alcune criticità sul tema dell’apprendistato, per quanto abbastanza governabili, come vedremo.
Però è un accordo dove è chiaro quello che c’è e quello che non c’è e come tale va valutato. Soprattutto, è chiaro in quello che non c’è, perché in ogni caso non avrebbe potuto esservi, in quanto derivante proprio dall’esercizio di quel diritto alla contrattazione aziendale e territoriale che abbiamo voluto riconquistare pienamente.

Nel bilancio positivo complessivo che noi dobbiamo fare, vi sono –intanto- le questioni dalle quali l’accordo stesso è nato, il tema dell’occupazione.
Dopo l’Avviso Comune, che ha rappresentato un primo passo verso un clima di maggior comprensione fra le parti, la crisi ha cominciato a mordere la carne viva del settore e in diverse parti del Paese hanno cominciato a prodursi intese per provare a gestire le conseguenze di quella crisi, soprattutto, a partire dalla mancanza di strumenti di protezione sociale per i nostri addetti.

Già lo avete detto in alcune riunioni, che poter realizzare una intesa con Confcommercio, tradizionalmente restia ad impegnarsi su questo fronte, avrebbe rappresentato di per sé un significativo risultato politico.
Come si può vedere dal testo concordato, l’intesa prevede alcuni impegni e obiettivi di indubbio significato: quello a difendere la base occupazionale del settore attraverso il ricorso a tutti gli strumenti alternativi alla mobilità; quello della stabilità di tutti i rapporti di lavoro, a termine e non, anche in presenza di crisi aziendali.
Se pensiamo alla situazione nella quale siamo, ai tavoli che stanno discutendo della ristrutturazione di importanti aziende, colpite dalla crisi, far discendere un impegno politico condiviso, di questa natura, non è certo la materializzazione automatica di una garanzia o di una soluzione concreta, ma rappresenta un riferimento, che aiuta più noi che le aziende, dato il fatto che quell’impegno è stato sottoscritto anche dalla controparte.

Sappiamo che alcune vertenze difficilmente potranno evitare approdi di una certa complessità, anche sul piano della tenuta occupazionale, soprattutto dove ci vengono proposte chiusure di attività e dove questi casi esprimono storie particolari, condizioni specifiche. Ma, in generale, sottoscrivere un impegno come quello che assume l’obiettivo prioritario della difesa dei livelli occupazionali, è uno strumento in più per la nostra battaglia, perché, comunque,ci consente di incalzare le associazioni di rappresentanza delle controparti al rispetto ed alla coerenza con gli impegni sottoscritti.

Nell’incontro conclusivo ci è stato proposto un capitolo su fiscalità e contribuzione, che attende ancora di essere definito. Nel testo che vi è stato consegnato si tratta di una versione da noi non condivisibile, là dove il sostegno fiscale alle imprese –che di per sé non è una iattura, se finalizzato a politiche per lo sviluppo e l’occupazione- rischia di apparire squilibrato nei confronti dei lavoratori e, soprattutto, contraria alla difesa e qualificazione di uno stato sociale universalistico. E’ un testo che ci incaricheremo di emendare nelle prossime ore.

Il cuore dell’intesa alla quale saremmo pervenuti, riguarda il tema centrale del contenzioso che ci ha accompagnati in tutti questi mesi: il ruolo della contrattazione di secondo livello, a partire da quello aziendale, sul tema del lavoro domenicale.
Qui la soluzione è sotto gli occhi di tutti e non presenta pasticci, né ambiguità. Il lavoro domenicale viene riconosciuto come fattore dell’organizzazione del lavoro e l’organizzazione del lavoro viene riconosciuta come materia di contrattazione di secondo livello, quindi, ogni intesa in materia, ogni modalità organizzativa contrattata sarà oggetto di accordo in sede di contrattazione di secondo livello, la cui funzione non solo viene riaffermata, ma si propone anche di qualificarla ulteriormente.

Non sfugga a nessuno l’uso dei termini, che in una operazione così complessa e delicata, hanno un loro significato. Non è un caso –ad esempio- che il testo, riferendosi alle verifiche che la contrattazione aziendale potrà fare in materia di organizzazione del lavoro, faccia riferimento non solo agli accordi aziendali vigenti, ma anche a quelli nazionali, con ovvio, anche se indiretto, riferimento all’intesa del 18 luglio scorso, che in alcune realtà potrebbe essere stato attuato automaticamente.

L’intesa prevede, poi, un altro aspetto di una certa rilevanza, in materia di relazioni sindacali, dove noi abbiamo posto il problema delle disdette degli accordi aziendali quale procedura contraria ad una comune gestione tanto della crisi, quanto delle vicende contrattuali.
Anche qui, nel linguaggio della diplomazia, il problema viene positivamente affrontato, con l’impegno ad evitare azioni unilaterali che possano annullare gli effetti della contrattazione di secondo livello in essere.

Quanto detto è ciò che di positivo possiamo mettere all’attivo dell’ipotesi di accordo, risultati politicamente importanti e sindacalmente rilevanti, soprattutto in materia di contrattazione e di relazioni sindacali.

Con la stessa franchezza e lealtà, voglio evidenziare anche ciò che l’ipotesi di accordo, pur aprendo nuovi spazi, non risolve con altrettanta soddisfazione, la questione dell’apprendistato. Ciò che non avevamo condiviso, ricorderete, era la soluzione sulle ore di permesso e quella del doppio regime.
Nel confronto di questi mesi, il problema si è presentato subito di difficile soluzione, poiché si trattava di far accettare ad una associazione, la soluzione condivisa con un’altra associazione (contratto Coop) e questo è oggettivamente complicato per come sono le dinamiche fra le diverse associazioni.

Abbiamo, quindi, pensato di percorrere un’altra strada, considerando sempre insoluto il problema, ma rivendicando in cambio il rafforzamento di un diritto, che noi sappiamo essere costantemente messo in discussione dalle aziende: quello alla formazione, chiedendone un’implementazione. Abbiamo, cioè, pensato di concentrarci nel periodo restante di vigenza contrattuale, nella scelta di ottenere per gli apprendisti un maggior impegno formativo, mantenendo fermo il nostro obiettivo del superamento di una normativa sbagliata.
Lo scambio con la formazione, nei fatti, è stata condivisa dalla controparte, anche se la formulazione concordata non esprime lo stesso carattere esplicito delle formulazioni sull’altra questione.
Debbo dire, che sul tema della formazione degli apprendisti abbiamo incontrato forse le maggiori resistenze di Confcommercio (e Federdistribuzione) e questo rafforza la mia convinzione che dovrà rappresentare sempre più un tema centrale della nostra azione.

In definitiva, l’ipotesi di accordo riconosce che la formazione degli apprendisti (e quella continua) va rafforzata ed in questo senso ammette lo scambio da noi proposto. Lo fa attraverso una formulazione non altrettanto esplicita, anche perché, sulla stessa materia dell’apprendistato, la filosofia dell’ipotesi di accordo tende a spostare il contenzioso in azienda (o sul territorio) e per noi questo è un vantaggio, poiché potremo giocarci la partita e contrastare sul campo una norma nazionale non condivisa, soprattutto sul doppio regime.

Pur tuttavia, il bilancio complessivo delle positività e delle criticità ci porta a dire che l’operazione che noi potremmo portare a compimento è decisamente al nostro attivo, ha un baricentro decisamente spostato verso le nostre ragioni.

Vorrei dire che la stessa crisi del settore, contesto nel quale abbiamo lavorato per condurre questa operazione, si è incaricata di riposizionare i pesi specifici delle due questioni oggetto del nostro dissenso: da un lato, rendendo del tutto secondario il tema dell’apprendistato nella concretezza della quotidianità (negli ultimi dieci mesi, gli apprendisti assunti dal sistema Confcommercio risultano poche migliaia…) e potendoci far dire che su questo punto andiamo avanti conquistando sul campo soluzioni da noi condivise; dall’altro, dando maggiore centralità al lavoro domenicale, poiché una delle risposte prevalenti che le aziende stanno dando alla crisi è proprio la richiesta delle massime aperture.
La crisi, oggettivamente, ha messo in primo piano il tema del lavoro domenicale (e più in generale dell’organizzazione del lavoro), rendendo secondario quello dell’apprendistato. E’ anche questo che ci fa dire che, nel bilancio complessivo, il baricentro dell’accordo è più spostato verso soluzioni positive e soddisfacenti.

Naturalmente, raggiunta un’intesa “politica” abbiamo posto la condizione attraverso la quale, dal nostro punto di vista, la vicenda contrattuale avrebbe potuto sbloccarsi: rendere quell’accordo parte integrante del contratto, ossia, parte integrante della stesura finale e, nei due articoli non condivisi, rappresentare formalmente il fatto che dopo il 18 luglio 2008 le parti avevano prodotto una evoluzione positiva nei contenuti e modalità. Abbiamo, perciò, proposto una dichiarazione a verbale congiunta (sindacati e Confcommercio) da inserire nei due articoli, che facesse esplicito riferimento all’intesa successiva al 18 luglio 2008.
Inutile dire che questo ha rappresentato l’ostacolo più grosso, perché, oggettivamente, avrebbe significato per i firmatari dell’intesa separata, ammettere una modifica sostanziale di quell’intesa, una richiesta molto forte da parte nostra, equivalente ad una “prova-verità” sulle reali intenzioni dei nostri interlocutori di voler davvero recuperare un quadro di relazioni unitarie.

Come potete vedere nella parte finale dell’ipotesi di intesa, quella nostra condizione è stata alla fine interamente accolta e rappresenta, senza ombra di dubbio, l’elemento decisivo che segna una vera discontinuità con i testi da noi non condivisi a suo tempo. Ed è ciò che ci fa dire del valore che questa intesa rappresenterebbe per noi se il Direttivo decidesse di sottoscriverla.

Qui dovrebbe iniziare un nuovo capitolo: come è stato possibile raggiungere un’intesa con queste caratteristiche?
Naturalmente, le circostanze e le condizioni che hanno reso possibile questo accordo sono diverse. Ma ho già detto che la condizione preponderante è stata prodotta dalla nostra iniziativa, senza la quale non saremmo arrivati fino a qui. Ma, siccome l’ho già detto e non voglio ripeterlo, credo che il nuovo capitolo da aprire sia quello della responsabilità che l’intesa coi assegnerebbe, qualora decidessimo di sottoscriverla.

Questa intesa non risolve tutti i problemi, è bene essere chiari fra noi! Ma non li risolve, in quanto neanche un Ccnl che non fosse stato separato li avrebbe risolti. Se qualcuno pensasse che, ricostruito il quadro unitario della vicenda contrattuale torniamo a vivere in un Eldorado, dimostrerebbe di non aver colto pienamente la natura dello scontro in atto.

Intanto, se i conflitti di interpretazione valgono per le leggi dello Stato, figurarsi se non potranno valere per un accordo politico che cerca di rimediare ad una situazione complicata, dovendo rendere l’onore delle armi a tutti.
Spero che nessuno venga qui a dire che da qualche parte ci sarà qualche azienda che farà finta di non capire, che pretenderà l’applicazione letterale dell’intesa separata, che di evitare le procedure di mobilità non glie ne frega nulla, ecc… E’ chiaro che ci saranno! E’ chiaro che ognuno proverà a tirarla dalla sua… Ma questa è la condizione con la quale dovremo sopravvivere fino alla scadenza del Ccnl. Voglio dirla più esplicitamente: è chiaro che il compromesso raggiunto non prevede l’abrogazione delle norme contestate, esse restano in vita. La novità è che, da oggi, esse vengono ad essere subordinate alla priorità della contrattazione aziendale.

Quindi, il problema vero è un altro ed è soprattutto nostro! Noi abbiamo riconquistato il primato della contrattazione di secondo livello, della contrattazione aziendale, dunque, bisogna combattere! Proprio in queste settimane abbiamo dei casi nei quali stiamo sperimentando lo scenario che ci troveremo di fronte dopo questa intesa (Upim, Rinascente), aziende che accettano il tavolo aziendale, al posto dell’applicazione automatica della normativa contrattuale, ma che su quel tavolo partono da lì, perché è quello che vogliono. Ebbene, c’è di che meravigliarsi? Le aziende fanno il loro mestiere e noi dobbiamo fare il nostro, contrastando richieste inaccettabili, quando le consideriamo tali, contrattando mediazioni, quando esse vengono ritenute praticabili.

Voglio fare l’avvocato del diavolo, non vorrei che la ricomposizione del quadro contrattuale, alla fine, mettesse a nudo proprio noi, evidenziando una nostra qualche difficoltà a stare in campo all’altezza delle sfide.
Per questo, a fronte della ricomposizione della vicenda contrattuale, che avvenisse sulla valorizzazione e la riconquista della titolarità contrattuale del secondo livello, noi dobbiamo mettere subito in campo un progetto nostro per qualificare e diffondere la contrattazione di secondo livello, un progetto che individui delle direttrici omogenee, che non annulli o mortifichi le specificità territoriali e aziendali, ma che stia dentro un quadro di coerenze. Un progetto che attrezzi le nostre strutture ed i nostri quadri delegati per la stagione contrattuale che abbiamo davanti a noi e che ci porterà al prossimo rinnovo del Ccnl del terziario. Un progetto nel quale anche l’annoso problema del lavoro domenicale trovi una sua aggiornata collocazione, dove siano chiare, della nostra posizione, le sane rigidità e le necessarie evoluzioni da sostenere.

Voglio qui dire quanto già detto in occasione del lavoro fatto sulla cooperazione, che, anche e soprattutto per il Ccnl del terziario, noi non possiamo considerare il Ccnl come un evento estrapolato dal nostro agire quotidiano, ma dobbiamo arrivare alla costruzione della piattaforma attraverso un lavoro corale, che rifletta, approfondisca e valorizzi le esperienze prodotte sul campo durante la vigenza contrattuale.

Proprio per questo, credo che a conclusione della vicenda del contratto separato, comunque si concluda, ma a maggior ragione se il Direttivo decidesse di sottoscrivere l’intesa, portando questo orientamento nei luoghi di lavoro, noi dovremo prevedere alla ripresa dell’attività dopo la pausa estiva, un attivo nazionale delle delegate e dei delegati Filcams, con la partecipazione di Guglielmo Epifani, sia per chiudere il cerchio del lungo cammino avviato il 9 ottobre a Roma, sia per sostenere un progetto qualificato per la contrattazione di secondo livello.

L’eventuale ricomposizione della vicenda contrattuale rappresenterebbe sicuramente un contributo a ricostruire un quadro di rapporti unitari con Fisascat e Uiltucs, migliori di oggi.
Ma anche su questo occorre essere chiari. La vicenda del contratto nazionale ha prodotto e ha lasciato segni di tensione e di sofferenza nei rapporti, più in periferia che al centro, quindi, inutile immaginare che le ferite si rimarginino e si cicatrizzino nel volgere di una nottata. Anche in queste ore, la diffusione della notizia della possibile intesa sul Ccnl separata è stata veicolata tra le OO.SS. in modi diversi e non sempre utili al lavoro che stiamo facendo, rappresentandola come l’adesione tardiva della Filcams ad un accordo che non è cambiato per nulla.

Inoltre, il quadro dei rapporti confederali non presenta allo stato nuovi segnali positivi. Sicuramente, noi saremmo uno di questi scarsi segnali, benché auspicati anche in casa degli altri. L’accordo separato sul modello contrattuale si fa sentire anche da noi, con i contratti della vigilanza privata e tra poco del turismo, poiché le diversità esistenti in materia economica non risultano allo stato superabili neanche a fronte della possibile ricomposizione sul Ccnl del terziario.

In più, vi è da dire che ciò che ci divide dalle altre organizzazioni non è solo la vicenda del Ccnl, ma anche (e, forse, soprattutto) una parte delle politiche sindacali e contrattuali, sia sul versante della contrattazione, che della bilateralità, per non parlare della cultura organizzativa, l’idea di sindacato.

L’accordo che noi dovessimo fare sul Ccnl separato non risolve tutti questi problemi. Tuttavia, offre un terreno più vantaggioso per provare ad affrontarne qualcuno, perché per gli altri la situazione nella quale ci troviamo non è esattamente una passeggiata, in più, trovare un intesa che rigetta eventuali disegni di emarginazione o di isolamento della nostra organizzazione è un impegno anche per gli altri, un piccolo vincolo.

Proprio per questo, la nostra idea è di incalzare Fisascat e Uiltucs, a fronte di una intesa sul Ccnl separato, per concordare un programma di azioni comuni, per definire una sorta di patto sindacale, su obiettivi e regole. E pensiamo di farlo sia sul capitolo della contrattazione (rinnovo Ccnl e II livello), sia su quello del pianeta bilateralità, non solo per concordare presidenze e vicepresidenze degli enti, ma soprattutto per mettere in campo un progetto di qualificazione di questa realtà, a fronte di dinamiche non sempre virtuose, sia a Roma che in periferia.

Il percorso di validazione democratica dell’accordo
Se il Comitato Direttivo, per tutte le ragioni dette, deciderà di condividere l’ipotesi di intesa, la Filcams si ritiene vincolata al percorso democratico per validare le scelte.
Questo non è oggetto di discussione, ma semplicemente un dovere, un vincolo per noi, che noi saremo chiamati a rispettare anche da soli, ed è certo che lo saremo, soli.

Qui, dobbiamo fare uno sforzo, molto grande, perché l’impegno che ci viene chiesto è di poter definire la partita entro la pausa estiva e dobbiamo ammettere che non si tratta di una richiesta del tutto infondata.
Possono stare insieme presto e bene? La nostra opinione è che con una prova di volontà convinta di tutto il gruppo dirigente, noi potremmo fare una discussione concentrata ma ugualmente diffusa, tra le lavoratrici ed i lavoratori.

Il percorso che proponiamo parte da oggi. Alla conclusione dei suoi lavori il Comitato Direttivo approverà un ordine del giorno che impegnerà il gruppo dirigente Filcams sulle decisioni che assumeremo. Esso rappresenterà il nostro giudizio sull’ipotesi di accordo, che andremo a sostenere coerentemente nelle assemblee.

Da domani fino al 20 luglio proponiamo che si svolga il percorso della consultazione, dagli organismi dirigenti, a tutte le assemblee nei luoghi di lavoro, al termine del quale questo organismo tornerà a riunirsi per ratificare l’esito della consultazione. Sappiamo essere un tempo ristretto, oltretutto, in una agenda già condizionata da alcune scadenze significative della Cgil, come l’Assemblea di programma dal 15 al 17 luglio. Tuttavia, non è vero che ci è negata la possibilità di fare qualcosa di utile e significativo, i tempi sono sufficienti per svolgere diverse centinaia di assemblee.

Le assemblee dovranno pronunciarsi sull’ipotesi di intesa, dunque, dovranno votare. Sappiamo che questa scelta incrocia qualche questione, una di tipo unitaria, poiché questa consultazione sarà della sola Filcams, anche se alle nostre assemblee inviteremo tutti i lavoratori. Qui, proveremo a fare un accordo di tacito, reciproco rispetto con Fisascat e Uiltucs, ma inutile ribadire che molto dipenderà dalle specifiche situazioni territoriali. Non mi stancherò mai di fare appello a tutto il gruppo dirigente a non inseguire gli altri sulla via delle eventuali polemiche o provocazioni.

L’altra questione è che stiamo parlando di un contratto che riguarda tutto il settore e non solo la grande distribuzione organizzata. Qui, però, dobbiamo farci soccorrere dalla esperienza passata, dato che non si tratta della prima esperienza che facciamo. Si tratta di programmare una operazione, la più diffusa possibile.

L’ultimo punto che vorrei toccare riguarda proprio l’impatto con i delegati, le lavoratrici ed i lavoratori. In questi giorni, via, via che maturava questa possibilità, sentivo annoverare fra le problematicità una domanda legittima; ma i lavoratori, i delegati capiranno, come la prenderanno, la potranno vivere come una resa, come una mortificazione del nostro lavoro?

Io capisco bene questa inquietudine, soprattutto per chi ha dovuto fronteggiare direttamente la rabbia e la risposta al contratto separato. Credo, tuttavia, che la risposta a questo interrogativo stia nella nostra capacità di valorizzare quello che abbiamo fatto. Nella nostra vita di dirigenti sindacali abbiamo fatto tanti accordi, alcuni belli, altri meno belli, sappiamo, dunque, di cosa parliamo. Dal punto di vista sindacale e, non meno da quello politico, l’ipotesi di accordo di cui stiamo parlano è sicuramente un compromesso, ma sicuramente è un buon accordo, un accordo che contiene delle risposte, sebbene costruite su un terreno difficilissimo come lo è quello di un contratto separato. Vorrei dire, tra l’altro, che non mi risultano casi di accordi separati per rinnovare i Ccnl che si siano poi ricomposti, sarebbe il primo caso. Credo che a nessun nostro dirigente un po’ avveduto venga meno la capacità di capire ed apprezzare quello che stiamo provando a fare.

Dobbiamo dire alle lavoratrici e ai lavoratori e soprattutto ai delegati che tutto ciò è frutto del loro impegno e ripaga in buona parte la dedizione che hanno mostrato a questa battaglia, che la Filcams ha condotto in tutti questi mesi. Dobbiamo avere l’onestà di dire che mai nessun Ccnl, neanche quello che avremmo potuto firmare insieme lo scorso anno, avrebbe messo totalmente al riparo le lavoratrici ed i lavoratori dalle politiche che le aziende tentano di imporre, soprattutto oggi con la crisi e che quelle politiche vanno combattute, sul campo, giorno dopo giorno e che per combattere quelle politiche occorre una idea chiara di quello che vogliamo noi e un esercito preparato, che sappia contrastare l’offensiva.

Da questo punto di vista, quello che abbiamo fatto in tutti questi mesi sarà più importante non tanto per la ricucitura di uno strappo, ma per l’azione che sapremo mettere in campo nelle prossime settimane, perché ci sono diritti e condizioni sul lavoro decisamente a rischio ed è su questa priorità che dobbiamo capitalizzare la forza, l’entusiasmo e la fiducia che la vertenza sul contratto separato ha prodotto in questi mesi.

E, da questo punto di vista, io leggo questo capitolo della nostra vita recente, l’iniziativa per recuperare e per rilanciare l’azione del sindacato nei luoghi di lavoro e fuori, come il terreno principale del nostro stesso rinnovamento politico ed organizzativo ed è anche per questo che, a nome della segreteria, chiedo a tutti voi di sostenere il lavoro fatto, nella discussione con le lavoratrici ed i lavoratori e di partecipare con la stessa passione alla nuova fase sindacale che assieme potremo aprire a conclusione di questa vicenda.