12/4/2018 ore: 12:15

GFK Italia Srl: quando innovazione tecnologica e digitalizzazione fanno perdere occupazione

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La procedura di licenziamento di 34 lavoratori chiesta da GFK Italia per l’attuazione di un piano di riorganizzazione aziendale si è chiusa con un accordo che soddisfa (ma non convince) le organizzazioni rappresentanti dei lavoratori. I lavoratori hanno accettato il licenziamento, con un incentivo all’esodo volontario che non compensa la perdita di alte professionalità in un’ottica generale di rilancio dell’azienda. “Preoccupa – affermano da Filcams i responsabili che hanno seguito la trattativa – che un’azienda così strutturata a livello internazionale non riesca a governare l’introduzione di nuove tecnologie, portate a pretesto di licenziamenti a causa di un incolmabile gap con i diretti concorrenti”. GFK si occupa a livello internazionale di ricerche di mercato, occupando circa 13mila dipendenti di cui 374 impiegati nella sede italiana, per la quale ha chiesto di poter procedere ad un riassetto definito “accelerate strategy”. “La strategia cui fa riferimento GFK – proseguono da Filcams – punta essenzialmente ad un taglio dei costi che fa leva solo sulla riduzione degli organici; a supporto di questa nostra convinzione c’è anche il fatto che in tanti anni di relazioni sindacali e incontri non si sia mai discusso un piano di rilancio dell’azienda”. Di fatto la GFK, pur essendo presente in molti paesi (per la maggior parte poco sindacalizzati), non ha mai reso noto di quale piano industriale internazionale dotarsi, quali strategie di innovazione tecnologica e di ricerca intendano adottare per competere in un mercato in continua evoluzione. Il rischio reale è che a breve si potrà assistere ad ulteriori ricadute occupazionali per futuri piani di riorganizzazione a livello globale che vanno nella direzione della terziarizzazione di alcuni settori afferenti l’attività di ricerca di indagine e di analisi dei dati. In sostanza: c’è poco di strategico nel riassetto se le risorse umane piuttosto che essere riconosciute in esubero non vengono coinvolte nella strategia condivisa che dovrebbe valorizzare occupazione, formazione e riqualificazione quale modello di sviluppo aziendale virtuoso. “Non può più essere considerato solo un rischio – concludono da Filcams – quando le forme di innovazione tecnologica creano disoccupazione, la digitalizzazione quale strumento di innovazione giustifica un incessante terziarizzazione e spacchettamento dell’organizzazione del lavoro e ciò che diventa efficientamento aziendale produce precarietà ed instabilità lavorativa e reddituale scaricando i costi al sociale”.