10/2/2023 ore: 13:59

Nielsen, uno sciopero da prima serata

I dipendenti dell'azienda americana contro i tagli annunciati

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L'azienda non è in crisi, ma licenzia. Ad annunciare i tagli, 40 su un totale di 356 dipendenti, è stata la Nielsen Media Italia, società che opera nella rilevazione dell'audience nei media - dalla televisione alla radio, alla carta stampata - fornendo alle aziende gli strumenti necessari a veicolare oculatamente gli investimenti pubblicitari.

Lo sfrondamento previsto per la sede italiana è parte di un piano di riduzione che interessa la compagnia su scala mondiale e che nel continente europeo cala la scure su ben 400 addetti.

Nell'aprile del 2022 erano iniziate le trattative per l'acquisto della statunitense Nielsen Media Research da parte di un pool di investitori di private equity guidati da Brookfield Business Partners e da Evergreen Coast Capital Corp, che hanno messo sul piatto 16 miliardi di dollari.

Era luglio quando i dipendenti italiani della compagnia sono stati rassicurati che il quadro occupazionale, almeno per un anno, non avrebbe subito delle variazioni: a ottobre il passaggio di proprietà è stato finalizzato e a dicembre è arrivato il primo annuncio di una consistente ristrutturazione in tutto il mondo Nielsen.


"Quando è stato annunciato l'acquisto di Nielsen da parte di un fondo di investimento, lo scorso aprile, abbiamo avviato un processo di consultazione con il CAE, il Comitato aziendale europeo, per coinvolgere i vertici aziendali e chiarire quali fossero le prospettive", spiega Giuseppe Nardozza, delegato Nielsen e vice presidente CAE. In quell'occasione non sembravano esserci criticità, ma il 9 gennaio è arrivata la procedura di mobilità. "La prima reazione è stata di respingere completamente questa procedura, perché in Italia l'azienda non è in stato di crisi - aggiunge Nardozza - e ad essere licenziati sono i lavoratori con più anni di presenza in azienda, quelli che per motivi anagrafici avrebbero più difficoltà a trovare una ricollocazione. Successivamente abbiamo chiesto una riduzione degli esuberi nei singoli reparti e infine abbiamo proposto di diluire nel tempo questa ristrutturazione, per trovare soluzioni idonee ad accompagnare lavoratrici e lavoratori verso la risoluzione del rapporto di lavoro. Ma dall'America il diktat è fermo: comprimere tutta l'operazione in un tempo brevissimo". 

La controproposta dell'azienda è "fumosa, inconsistente". Si tratta di offrire a lavoratrici e lavoratori la possibilità di passare volontariamente da un contratto full time a uno part time: due nuovi part time salverebbero un posto di lavoro. Un'offerta che continua a penalizzare i dipendenti, costringendoli a rinunciare a una parte consistente dello stipendio per continuare a lavorare e, in prospettiva, a una quota della pensione.


"I lavoratori non potevano fare altro che dichiarare lo sciopero, che è partito dalle 22 del 7 febbraio ed è terminato alla stessa ora del giorno seguente, per coprire anche i turni serali e notturni - spiega il delegato - e che ha registrato un'adesione del 90%".

Strategica la scelta del giorno, in concomitanza con la prima serata sanremese, "non per boicottare l'azienda, ma per dimostrare che il lavoro delle persone è importante, che l'automatizzazione dei sistemi di elaborazione, che noi non osteggiamo, deve essere comunque sostenuta dalle conoscenze e dall'esperienza delle persone".

Ma l'azienda, seccata per l'inattesa astensione dal lavoro, ha dichiarato che nonostante lo sciopero i dati sono stati comunque rilevati e consegnati.

"Ma la qualità del servizio, senza le lavoratrici e i lavoratori, non è la stessa".